Un cantante può decidere di sfruttare il suo talento interpretando pezzi con la voce semplicemente, oppure scegliere di allargare il campo d’azione della voce, attraverso una ricerca musicale che si spinga in direzioni diverse. Mario Grande prova ad unire entrambi gli approcci, con un nuovo album che diventa punto d’incontro tra una tradizione passata - alla maniera della canzone d’autore anni ’70 – e le attuali tendenze rock-pop. Ecco perché “#capitolo secondo” vive di canzoni che fanno giravolte tra passato e presente, lasciando l’ascoltatore in bilico tra stilemi lontani nel tempo, conosciuti, dunque poco originali, ma non per questo meno autentici.
Su tracce dall’impronta quasi cinematografica e dallo sviluppo pensoso e sfrangiato, si fa strada l’idea di composizioni unite da un unico filo rosso: il ricordo. Da qui si muovono impressioni, narrazioni, ritratti delicati come acquerelli, al pensiero malinconico di un distacco (“Il canto delle stelle”, “Il tempio delle vanità”, “Io e te”). Tra barlumi di speranza e sotto cieli scuri e sconfitti, le canzoni ci parlano di tempo necessario per elaborare la perdita (“Immobile”, “Bandiera al vento”), avviluppandosi ogni tanto alla retorica e al romanticismo (“Ogni singolo momento”, “In qualche angolo di me”). L’impianto musicale dell’album, prevalentemente pop, è arrangiato, suonato, cantato con abilità, soprattutto nelle svolte melodico-armoniche; quando si fa più rock, le trame si avvolgono di abrasioni e rumori (“Il nemico”, “Al mercato delle foglie”, “Contrasto matematico”) snaturandosi un tantino.
In effetti ci sembra che “#capitolo secondo” possieda soprattutto quell’umore seventies alla Cocciante, di ballate romanticone in cui l’approccio canzonettaro stona forse un po'. Tuttavia, nell’economia del disco, non c’è disallineamento e Mario Grande ribadisce la sua grande dote canora.
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