I quattro rocker vicentini che rispondono al nome di Läser non amano girare troppo intorno alle cose ma vanno dritti al punto. Per presentare il loro progetto, infatti, propongono subito un coeso lavoro sulla lunga distanza, rigorosamente omonimo – perché ai suoi dieci pezzi è affidato l’importante compito di tradurre in suoni gli ideali della band – e mixato e masterizzato nei ben noti Abbey Road Studios di Londra.
Diciamo sin da subito che Alberto Rossato (voce e chitarra), Luca Cenzi (chitarra), Mirko Gonzo (basso) e Giulio Panizzolo (batteria) pagano un pegno (evidentemente per loro doveroso) ai Verdena (soprattutto quelli del debut album, che però nel 1999 giungeva più fresco e originale) e agli Afterhours, con il cantato che certe volte rende omaggio anche a Kurt Cobain e altre volte all’Umberto Maria Giardini dell’epoca Moltheni. Tuttavia, pur allestendo un tessuto sonoro che scansa l’alea e il rischio, i Läser seguono il loro percorso con convinzione e naturalezza donando alle loro canzoni la freschezza che caratterizza i migliori esordi e una gustosa pluralità di sapori che vanno dalla malinconia alle esplosioni di rabbia, dal dolore al nichilismo, muovendosi su derive alternative rock e grunge e caratterizzandosi per i testi che criptano parole comuni delineando pensieri, incubi o riflessioni su esperienze e relazioni personali.
Si tratta solo del primo passo, quindi speriamo in una direzione più distintiva nei prossimi lavori, intanto di questo disco apprezziamo la coerenza e la fluidità, consigliandolo sicuramente a tutti i numerosi nostalgici degli anni 90.
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