Un paesaggio sonoro completamente autarchico, colorato di bronzo, ruggine e sangue.
Nel gennaio del 2005 Giambeppe Succi, reduce dall’esperienza finita dei Madrigali Madri, e Bruno Dorella, mente e braccia dietro una miriade di progetti tra cui OvO, Ronin e altri, si sono trovati a registrare in presa diretta nelle cantine di una chiesa sconsacrata in quel di Nizza Monferrato, Piemonte. Chitarra sbilenca e percussioni i mattoni della costruzione. La voce di Giambeppe ridotta a un rantolo sibilante, come il lamento fossile di una macchina a vapore. Il duo si è battezzato Bachi da Pietra, questo disco ne è il parto.
Gli intenti sono subito chiari: "È una guerra e questa è una battaglia", canta Giambeppe in Primavera del Sangue. Aprile DC lo ribadisce, così come Verme, 2:40 è psicopatia insonne degna di Travis Bickle. Il matematismo di Solare, titolo che sarebbe bello immaginare figlio di un’autoironia volontaria, l’afa peona di Zolle, seguita dal monologo timido e sofferto di Stella, giù fino all’implosione rock di Prostituisciti e la lenta agonia di Stirpe Confusa chiudono il quadro.
La dimensione estetica è quella di un blues mutante, osseo e primordiale; l’impeccabile realizzazione tecnica, caratterizzata da riprese microfoniche più vicine al jazz che al rock comunemente inteso, asseconda in maniera magistrale la musica, creando un impasto nitido ma sabbioso, capace di rendere visibili tutti i particolari della scena sonora, fino ai muri entro cui sono stati suonati gli strumenti. Ascoltare questo disco è come affacciarsi in una caverna piena di sfumature bronzee, in cui il suono prende corpo agli angoli del campo uditivo. L’assunto di partenza per l’ascoltatore è il volerlo, poiché quasi nulla invita a farlo. Non filtra luce diretta nel bozzolo creato dai Bachi: il bianco domina per la sua assenza, sostituito dai riverberi ambrati di un indefinibile crepuscolo della coscienza.
Il duo ha il merito di aver creato un paesaggio sonoro completamente autarchico, colorato di bronzo, ruggine e sangue; simile per certi versi ad alcuni cromatismi degli ultimi Einsturzende Neubauten, seppur privo dell’ironia necessaria per non restarne soffocati. Proprio nella poetica di Giambeppe, tanto diretta e sofferta quanto involuta su se stessa, si potrebbero incontrare le difficoltà maggiori nell’approcciarsi alla musica dei Bachi da Seta. Del resto però, come detto prima, le intenzioni sono dichiarate fin da subito. Accettate le premesse,Tornare alla terra può costituire un’insano rifugio dal livido, rassicurante bagliore musicale a cui siamo stati ormai assuefatti.
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La recensione Tornare nella terra di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-09-02 00:00:00
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