Il ritorno del folk-rock scoppiettante dei sestesi SESTOMARELLI, porta con sè un sound più maturo e ragionato, che tuttavia non perde la giocosità che caratterizza il genere, danzereccio, bello da ascoltare dal vivo, magari con una buona birra in mano.
Le canzoni sono lunghe, e lo sono per un motivo. Si fermano, ripartono; riff e assoli abbondano; è una questione di esperienza. E, giunti al terzo lavoro, continuano a sentirsi l'esigenza e l'urgenza di non ricadere nei clichè e nei (quasi inevitabili) rimandi ad altre band ben più famose. Intento riuscito solo parzialmente.
"Fra l'amore e il rumore" è un disco diviso a metà; ha due facce, due lati. E non sono lati fisici, ma stilistici. Fino a metà tutto scorre liscio, un fiume di note belle e appassionate. I ritmi sono incalzanti ma non esagitati. Cinque belle storie, raccontate con uno stile personale e liriche parecchio brillanti (spiccano su tutte "Pagando" e "Se voli poi ti tirano giù", intrise di un'insolita ironia malinconica).
Arrivati però al giro di boa, subentra un po' di confusione. Forse si voleva cercare di dare una svolta, per paura che il disco finisse con l'appiattirsi. Ma così l'eterogeneità arriva a sfociare in uno stravolgimento un po' ingenuo. "Villa Inferno" è una cover italiana dei Pogues (e dunque non può che rimandare ai Modena City Ramblers della prima ora, anche per il tono più aggressivo del testo e una quasi imitazione della voce di Cisco), "Un padre disse al figlio" è una ballad troppo sciapa e poco ispirata per convincere, e il classicone di chiusura suona un po' ingessato e stona con la briosità che bene o male si è sentita fino a quel momento.
I troppi riferimenti musicali e letterari finiscono per distrarre i SESTOMARELLI da quella che, nei primi venti minuti, sembrava una via interessante.
Un mezzo passo falso. Un vero peccato.
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