A quattro anni dal disco omonimo d'esordio tornano i messinesi La Stanza della Nonna.
Basta far cominciare la prima traccia per capire che (per fortuna) qualcosa è cambiato, che una qualche svolta c'è stata. Infatti "Dove gli occhi non possono arrivare" comincia con una scossa elettrica inaspettata. La batteria picchia forte e dritta, distorsori e incursioni tastieristiche si mescolano con convinzione, e si cita Kurt Cobain ("ancora lì a giocare"), in un susseguirsi di immagini frutto di una fantasia sicuramente ricca.
La sensazione iniziale è confermata dallo scorrere delle canzoni successive. La band ha abbandonato gli arrangiamenti puliti e ordinati, le scelte un po' stereotipate di seguire sonorità ingessate, che li ingabbiavano per forza di cose in un folk formale e spento. Da lodare è prima di tutto l'azzardo. La Stanza della Nonna cercano di sperimentare e mescolare stili, in modo rischioso, sbavando certo, ma risultando molto più credibili e a loro agio, con un linguaggio personale. E quindi il passaggio linguistico dall'italiano al dialetto non stona, perchè l'atmosfera in cui sono calate le canzoni (a prescindere dalle parole) è davvero avvolgente. Ha un cuore.
Ma forse sono proprio le parole il fiore all'occhiello di questi strani siculi. Testi importanti, molto sentiti, ma soprattutto scanditi con un'interpretazione quasi teatrale. "Hai mai visto asini volare, pezzi di merda trasformarsi in sale?", questo è l'incipit della terza traccia, una lenta ballata, sconclusionata, che ci parla di quando la mente prende una scia irrazionale, e si fa un viaggione, anche per rendere più accettabile una realtà cruda. Dietro il tono istrionico di Gianluca Fontanaro, voce del gruppo, e dietro frasi un po' astruse, stanno riflessioni profonde. Dimostrazione che se si è capaci, si può scrivere un testo che parla solo di acqua, senza banalità ("Anima d'idrogeno).
In questi anni di pausa La Stanza della Nonna sono cresciuti. Hanno coltivato una vera anima folk, perchè hanno fatto sentire il profumo dei sassi della loro terra, e da lì hanno navigato. I pesci pescati sono stati pochi (non si raggiunge la mezz'ora di durata), ma la chiusura, affidata a "Mortell-in", strumentale acustica delicatissima, lascia un sapore dolce in bocca, e suona come un "arrivederci alla prossima; un po' più in là".
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