Cantante, attore, studi sulla voce, sul movimento corporeo ed esperienze teatrali come se piovesse finiti dritti tra le pagine del suo curriculum vitae. Prima gli Stop?, un’esperienza istruttiva e formativa, due album e un demo pubblicati tra il 2002 e il 2012, poi la decisione di mettersi in proprio. E tirare fuori “D. Diario di una voce distorta”.
Il primo lavoro da solista di Daniele Paganelli rappresenta la continuazione del monologo teatrale “Anatomia del silenzio”, è composto da un album (“D”) e da un libro fotografico-poetico (“Diario di una voce distorta”). Due progetti paralleli, uno figlio dell’altro, inscindibili, legati, complementari. Che arrivano a riassumere una sorta di autobiografia, quasi una confessione laica. Riassunta in un disco impetuoso e delicato al tempo stesso. Pugni e carezze, cicatrici e rinascite, poesie da smontare e rimontare, chitarre in primo piano a bilanciare storie sofferte e dense di pathos. Nel cui fluire trovano spazio tracce di Afterhours, Marlene Kuntz, qualche spruzzata di Radiohead (citati nel finale), un pizzico di Jeff Buckley e di grunge, accenni di feed-back che non guastano mai. Tra tali e tante asprezze fanno capolino momenti più morbidi: l’acustica “Murales con nuove labbra”, la lenta “Per curare te”, gli affascinanti esperimenti vocali di “Scritti di fiato”, oltre a tre recitativi.
In cabina di regia, Michele Zanni (già al lavoro con Umberto Maria Giardini e Bugo), tira fuori il meglio dal cantautore modenese, bravo a diversificare intimismo e rabbia, teatralità e istinto, agevolato, oltre che da una band preparata e in tiro, dai fiati (sax e clarinetto) di Achille Succi (jazzista con alle spalle collaborazioni a fianco di Uri Caine e Giorgio Gaslini, tra i tanti) e dalle voci di Simona Rae, Viviana Cappelli e Benedetta Copeta. Un disco ricco di personalità e di idee che non lascerà indifferente chi vuole andare oltre al becero ritornello pop di ordinanza.
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