Cosa ci si può aspettare da un nuovo disco fatto uscire nei primi giorni del nuovo millennio da un artista che nel giro di dieci anni, dopo un esordio straordinariamente tardivo, è passato dalla coltura di una piccola nicchia di sostenitori all’esplosione della bolla e fino alla consacrazione (diteglielo, e sentirete la risata che si farà) a guida morale di una generazione e mezza?
Ci si poteva aspettare, ad aver intuito qualcosa della traiettoria artistica di Dario Brunori in questi ultimi due lustri, un lavoro molto simile a Cip!, il suo quinto disco in studio, uscito nella notte. Negli scorsi mesi l’hype nei suoi confronti aveva raggiunto la soglia critica, e questo è un paradosso per uno che ha vissuto e vive la vita come fa lui e che ha sempre interpretato la musica come una chitarra sulla spalla, briciole di Rustichella sulla barba e piedi strascinati nelle Clarks a tarda notte in un B&B di provincia dopo il live.
Invece è arrivata l’esegesi postuma che ha reso (giustamente) Vol. 1 un capolavoro intimista, l’elevazione (meritatissima) di La verità a pietra miliare degli anni 10, la tv. E in qualche modo bisognava rispondere a tutto ciò con la musica.
Ma se, considerato il cv, c’era una persona in grado di non farsi travolgere da simili aspettative era ed è Dario Brunori, che ha risposto divaricando le gambe e poggiandole forte su due pilastri fondamentali. In Cip! troviamo più forti che mai tutti i riferimenti del suo passato, accanto al futuro come gli piacerebbe che fosse.
Nelle 11 tracce che compongono il disco, e che vi consigliamo di ascoltare non più tardi di subito, ci sono Dalla come e più di prima, De Gregori, Rino Gaetano e quelli che ci sono sempre stati, e che non smettono di partecipare allo strepitoso processo di affinazione della poetica dell’artista calabrese. Ci sono brani sinceri e quasi spudorati come l’acclamatissima Per due che come noi, e pezzi più pubblici e politici (a modo suo, e ci mancherebbe) come Il mondo si divide, Fuori dal mondo e Anche senza di noi. Che, oltre ad affrontare temi cardine del nostro stare su questo pianeta, confermano quell’alterità di Dario Brunori rispetto a un sacco di cose che succedono nella quotidianità che è un po’ la sua cifra stilistica (ed esistenziale).
Il concetto di fondo è: essere buoni è difficile, ma necessario. Se scegliete di essere cattivi siete stronzi, anche se non ve lo dico apertamente perché sono buono (io).
Il futuro e lo spazio riservato ai sogni, invece, stanno soprattutto nella musica, che in numerosi brani si fa decisamente orchestrale. La produzione di Taketo Gohara è ambiziosa, anche grazie a un budget finalmente da numero uno (o quasi), gli arrangiamenti sono complessi (come nella già citata Fuori dal mondo), archi e fiati giocano di intreccio con i momenti più pop e solari, e aprono la strada persino a qualche distorsione e concessione beatlesiana.
Funziona tutto bene, era un disco necessario e forse l’unico possibile. Insomma, ascoltatevelo.
Vedi la tracklist e ascolta le tracce sul player nella versione completa.