Il polistrumentista di Crotone si cambia d’abito per presentarci il suo ultimo lavoro. Abbandonate le sonorità anglosassoni del precedente “Oltre”, Lou Vice pacatamente ci racconta qualcosa di più privato e personale. Indossando una miscela di indie pop, cantautorato e rock morbido, si lascia andare a confidenze e riflessioni sul significato del sentirsi a casa dopo un grande mutamento esistenziale. Il lirismo dei pezzi scivola monocorde, per apparire più scomposto ed eclettico in alcuni passaggi; il risultato è una manciata di canzoni imperniate sulla voce e sui suoni che abbracciano ogni singolo stato d’animo.
“Non faccio rumore” apre l’album con quel tocco di casualità e finta noncuranza che sa tanto di confidenza spontanea ad un amico fidato. È una sorta di rigenerazione che arriva sotto forma di pioggia a rinnovare la forza e la speranza. Cosa significa sentirsi a casa? Vuol dire sentirsi in pace con la propria vita. Lou Vice indica una strada da percorrere, fatta di silenzio e intimismo tra le note di una ballata pop. Ancora aria di quiete nella successiva “Ti guardo negli occhi”, una tenerezza invernale che anticipa il sound fumettistico e jazzato di “Fumetto giapponese”, la traccia migliore dell’album insieme a “Ieri” dove il baricentro si sposta nel cuore. Più energica è “In un secondo”, sebbene i contenuti mastichino pena e sconforto. Le sonorità anni ’80 ci arrivano dal pop di “Tempesta” e “Bellezza”, un incontro di buio e luce quando le finestre dell’anima si chiudono lasciando il passo alla malinconia. “Atlantide”, acustica e minimale lascia intravedere un futuro migliore.
L’album ci parla di canzoni che riflettono sul “chi siamo” dopo momenti di forte disagio, e non è semplice articolarne il senso attraverso le parole. Alcuni testi convincono poco, altri ci lasciano meno dubbiosi; di sicuro Lou Vice prova a rappresentarsi nel miglior modo che conosce. Questo ci convince più di ogni altra cosa.
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