Guardando in mezzo alle increspature del nostro pianeta, i meneghini Artemio raccolgono detriti, schegge e marciume vario che poi pongono sotto i riflettori attraverso i cinque pezzi (più un breve siparietto strumentale spalancato dall’intro apocalittica) di questo EP intitolato proprio “Pianeta distorto”, che segue a distanza di quattro anni il loro precedente album, “Cento uomini”.
Le “distorsioni” del pianeta Terra per il quartetto lombardo sono differenti, a partire da chi vuol “piegare le idee in questo tempo di libertà” (da “Orecchie occhi”) a chi per muoversi tra le crepe della società pianifica e progetta tutto (perfino i propri difetti), diventando un burattino cosciente della propria condizione e che perciò non si arrende e si sfoga nella title-track (“io cerco spazio, non ho conforto in questo pianeta morto”) perché uno “Stato libero” è ancora possibile, nonostante molti tendano a chinare il capo e lasciarsi imprigionare dentro le gabbie delle false promesse. Quello che accomuna le “distorsioni” della realtà inquadrate dalla band è quindi principalmente la limitazione della libertà individuale a cui il protagonista di questi brani cerca di ribellarsi armato di lucidità, rabbia e sguardo critico.
Il “Pianeta distorto” però è anche quello abitato dalle vere e proprie ringhianti distorsioni delle chitarre che sferrano riff granitici accompagnate da una sezione ritmica schiacciasassi che non risparmia nessuno. Un disco breve ma carico d’energia che, sebbene in maniera non originalissima, conferma la capacità degli Artemio di pestare duro e proporre pezzi di grande impatto.
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