L'esordio dei The Jagat è un buon esempio di blues rock all'italiana, fra i Black Keys e la nostra musica leggera
Chitarra, basso, batteria, armonica, voce riverberata, il tutto impastato da un leggero sfondo di tastiere; il blues rock dei The Jagat ha questo sapore classico, quasi vintage, soprattutto romantico. Il mood lo situa dalle parti dei Black Keys di ‘Brothers’, il nome di Dan Auerbach è il prima che viene in mente sentendo il crooning riverberato della voce, con un appeal radiofonico da stazione di altri tempi. C’è però tutto uno spettro, circoscritto ma non troppo, in cui si muove la musica di ‘The Jagat’: nei momenti più morbidi, c’è una tensione pop nelle melodie che, calata in quest’atmosfera, ammicca quasi a una certa musica leggera italiana degli anni ‘60-’70 (’La Vita Mia’), o anche al pop italiano di classe alla Neffa; nei momenti più elettrici, invece, oltre che al classico blues rock anglosassone e all’hard blues (’Tempo’), pare di sentire qualche richiamo anche alle melodie del rock mediterraneo dei Litfiba anni ‘90 (’Ora lo sai’). Blues, sì, ma all'italiana per lingua e approccio melodico. La musica blu, si sa, è una garanzia; basta afferrare la formula di quel particolare tipo di dolce malinconia per un effetto garantito, anche senza particolari guizzi di originalità. I The Jagat l’hanno azzeccata con un piglio tutto sommato riconoscibile, probabilmente da levigare sotto qualche aspetto, ma di cui non ci si può lamentare per un’opera prima.
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La recensione The Jagat di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2020-03-21 21:11:59
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