Vengono dalla Puglia, i Compagni di Merengue, ed esibiscono un cd autoprodotto che non sembra tale sia per cura degli arrangiamenti che dei suoni che della registrazione, frutto – penso – di una professionalità notevole. Il genere è quel rock latino da “mia banda che suona il rock”, senza nessuna pretesa autoriali, per carità: il sentimento qui prevalente – e voluto – è quello di una scanzonata e garbata allegria da serata tra amici. Amici superprofessionali, va ricordato. Che dimostrano pure una decisa versatilità: passano dal latino più hardcore (“Telenovelas”), a contaminazioni psycho-latin-blues da California fine 60 (“Pallido sia”), allo ska (“Trattoria Mancuso”), esibiscono perfino accenni alla Vinicio Capossela (“Amici”) o alla Rino Gaetano (“Hasta la pista”).
I nomi che ho speso potrebbero impressionare. E invece no. Attenzione: ho detto che qui siamo in un clima da serata fra amici. Si tratta di vaghi riferimenti, abbozzati e ammiccati, in un disco che casca – forse volutamente – in quello che io trovo uno dei peggiori difetti di chi fa musica che vuol essere ironica: e cioè un’eccessiva cordialità, una volontà di non ferire nessuno che a un cattivo come me fa l’effetto dell’acqua santa a Belzebù.
Mi spiego: prendiamo il brano di apertura, “Telenovelas”. C’è un testo che vorrebbe essere ironico (“tu sei serial”), ma fa lo stesso effetto di quelle battute che, nate nel vivo della conversazione, fanno anche ridere (o sorridere) di gusto; raccontate, però, perdono tutta la loro verve e fanno un po’ pena. Si vorrebbe ironizzare sul fenomeno telenovelas, in realtà si graffia tanto quanto “Striscia la notizia” con Berlusconi: zero. Anzi, si finisce per essere fagocitati dall’oggetto della presunta ironia, diventare consustanziali ad esso e renderlo simpatico, facendogli un bel servizio. Vedrei bene questo brano come sigla di un programma estivo della mattina o di uno di quei telefilm con Gerry Scotti e Maria Amelia Monti o “Zanzi Bar” (preistoria anni 80), che presentano quella quieta vita borghese che ciascuno di noi ha sognato in un momento di stanchezza. Ma che non esiste da nessuna parte. Il fatto è – ripeto – che quella che esibisce la band in questo disco (ed è trasparente fon dal nome) è un “volemose bene” messo in musica, per fare quattro risate tra amici. Sono sicuro che è esattamente quello a cui miravano i Compagni di Merengue, per cui devo dire che l’obiettivo è stato centrato in pieno.
Sono altrettanto sicuro che questo non è quello che chiedo alla musica, ovvero passioni intense, cristalli soffiati, cataclismi naturali e passeggiate da equilibristi. Trovo questo disco così “italiano”, in senso deteriore: ma siccome non detengo l’esclusiva della verità, non è detto che ciò che io trovo deteriore 1) lo sia davvero; 2) lo trovino tale anche gli altri.
Resta il fatto che vedo bene i Compagni di Merengue suonare in locali che non frequenterei neanche sotto tortura. Però magari proprio i testi, che a me non convincono perché mi sembrano troppo nazionalpopolari, potrebbero fare la loro fortuna. Si vedrà.
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La recensione Favor não pescar di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-09-23 00:00:00
COMMENTI (1)
grandi CDM! ma quando risuonate a Cosenza?