Mentre scrivo sono le due di notte. Fuori un deserto identico a quello del giorno. Ultimamente trovo sempre più difficile abbandonarmi alle emozioni. Sarà il preciso momento storico che stiamo vivendo. In cui improvvisamente ogni priorità è stata come livellata, quasi annullata, da eventi inattesi che hanno scostato la nostra attenzione sulle poche e vere cose che contano davvero. Sono le due di notte e ascolto il nuovo ep di Lucia Manca, appena uscito. Se qualcuno mi chiede i nomi delle voci femminili che contano in questo momento in Italia lei, per me, è una di queste. Non si tratta di semplice e banale gusto personale, ma di una certa cura nel fare le cose, che ahimè fa tanto anni '10 o forse anche prima e oggi è sempre più difficile incontrare. Ciò che mi stupisce di più in un lavoro come questo è la perfetta simbiosi tra voce e arrangiamenti. Lei, l'hanno detto in tanti, è una specie di sorella Martini mancata. Odio guardare al passato, soprattutto in questo periodo in cui siamo così labili, silenziosi e lenti (c'era bisogno di tutto questo per ricordarci che lo siamo?), preferisco osservare da vicino lo spettacolo di un disco così breve e della sua capacità di squarciarci il petto e farci scivolare via ogni lacrima, senza scomodare nessuno. I brani sono quattro e io non sono mai stato così indeciso in vita mia nel sceglierne uno migliore. Il suono è quello delle plaquette dei poeti che non ci sono più. La voce è quella di un'artista che dentro non ti dà tregua. "Respirare" ti s'insinua dentro come vecchio jazz, in "L'ultima sigaretta" sembra esserci lo zampino del grande Poi, e "Le sere al porto" ti incatena e ti fa pensare "Non può essere già finita". Ma come si dice in "Come un'onda": "la verità è come un'ombra, ti sfugge all'improvviso e ti ritrovi qua". Il disco si chiama "Attese". È uscito adesso. Un caso? Io non credo.
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