FEAT (Stato di Natura) conferma e corrobora la rara sensibilità della cantautrice veneta, che pone al centro – in giorni in cui ne sentiamo l’estrema mancanza – il tema del contatto con l’altro e del ritorno al naturale, inteso come la rinascita dell’ambiente, ma anche nell’accezione sociale di un r
Ascolto il nuovo album di Francesca Michielin, penso “finalmente”. Mi godo l’ultimo synth di Leoni e ringrazio l’uscita di un disco che ci concede, per 35 minuti, di cullarci nei suoi accordi maggiori, immersi nell’illusione di poter uscire dal recinto che da più di due settimane ci confina in questi metri quadrati. Avevo imparato a regalarmi questo tipo di evasione attraverso le pagine di un libro, la riscopro nell’esecuzione dei pentagrammi di uno spartito.
FEAT (Stato di Natura) conferma e corrobora la rara sensibilità della cantautrice veneta, che pone al centro – in giorni in cui ne sentiamo l’estrema mancanza – il tema del contatto con l’altro e del ritorno al naturale, inteso come la rinascita dell’ambiente, ma anche nell’accezione sociale di un ritorno alle origini, o musicale in senso ampio, visto l’utilizzo della strumentazione analogica, che riacquista spazio rispetto alle produzioni digitali. Il primo impatto col disco è quello visivo, come d’altronde il primo impatto col mondo. Il layout della cover è a cura dello studio grafico "Burro Studio", con l’intervento del comic designer Marco Locati, tratteggiando le diverse anime dei brani e celebrando il viola, significante della trasformazione, come tonalità dominante. Il filo rosso delle diverse (e molte) sonorità presenti nel disco è il pop contemporaneo, guidato dalle esplicite influenze di Annie Lennox, Vampire Weekend, Haim e Paul Simon, ed arricchito, di brano in brano, da sottotrame musicali. Tra queste incrociamo il rock disusato della title track, con riff duri e chitarre distorte, ma anche un reggae che incontra il chill pop in Sposerò un albero, una traccia che ci fa tornare indietro nel tempo, così come il reggae stesso, suonato indietro sul beat. Scivoliamo poi tra il latin pop vestito perfettamente da Fred De Palma e l’urban che ammicca all’RnB nel feat con Shiva, passando per una fragilissima ballad francese (La vie ensemble), composta da chitarra acustica ed ukulele. 11 tracce e 13 featuring, perfettamente orchestrati, con le produzioni di spicco di Takagi & Ketra, Dardust e Charlie Charles, per un disco che si appropria del concetto di playlist, stravolgendolo positivamente.
Non manca inoltre il contenuto. Un inno al riconoscersi in se stessi, urlato senza mezzi termini nel grido femminista di Stato di natura, che sarebbe bene sottolineare perché come donna, ma in generale come persona, aspetto ancora il giorno in cui non sarà più necessario affermare che “non è nella mia natura farmi fischiare per strada come se fossi un cane” o che “siamo schiavi di una cultura patriarcale”. Una società nella quale il machismo confina gli uomini ad una persistente negazione della propria emotività, dove la comunicazione con l’altro viene vissuta come un’utopia e le debolezze rinchiuse in un antidepressivo. Parte della comunità ha criticato l’ipocrisia del trattare il tema femminista per poi collaborare con rapper che nei propri testi non si fanno certo portavoce della stessa bandiera, ma non è ovviamente questo lo spazio per approfondire la questione. Gli argomenti continuano a spaziare affrontando il controverso rapporto tra l’artista ed il successo, non nuovo a Fibra, che dà il suo apporto nella scrittura della seconda traccia. Si vira infine verso il racconto dell’amore in ogni sua rappresentazione, riempiendo i testi di seconde persone indefinite e lasciandoci immedesimare, fuori dalle nostre mura, almeno per questa mezz’ora.
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La recensione FEAT (Stato di Natura) di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2020-03-31 17:13:00
COMMENTI (1)
Album da supermercato. poteva fare meglio