Gli artisti degli anni ‘70 vivevano come una costrizione il formato del "singolo"; pensavano spesso in termini di "concept album" e i loro dischi erano opere complete e non raccolte di singoli brani. L’album di oggi mi fa pensare alle sonorità rock degli anni ’70 in cui ogni pezzo è un’opera completa, in grado di conquistare il suo spazio e di esprimersi al meglio all’interno del disco. Per questo “Mao” non contiene brani decisamente meritevoli e altri che fanno da corollario, ma un insieme di sei canzoni che hanno tutte qualcosa da dirci. Per esempio: lo sforzo di costruire melodie accessibili e raffinate vicine al pop psichedelico e quelle che contengono l’asprezza del grunge o il sogno ingenuo del blues. All’ascolto, niente è lezioso o fuori posto.
Una camera con vista sul vuoto è il testo di “Deceive me” che colpisce per l’arrangiamento pop dalla stravagante acidità Beatles; gonfio di suoni e di colori, presenta un impianto ritmico interessante. “A last embrance”, languido, a tratti malinconico, sprigiona un’energia situata in un luogo intermedio tra Blur e Oasis ed è con “Never been told” che si percepisce la nostalgia, senza lamento né pianto, degli Smashing Pumpkins di “Mellon Collie and the Infinite Sadness”. Arriva aggressiva e violenta come un temporale estivo “La ballade du diable”: un ingorgo di idee e sonorità in piena libertà d’azione. Si chiude il cerchio di “Mao” con il blues allucinato di “Dummy” e le note leggere di “Self-sufficient” che, con un colpo di coda, diventano unghie che rigano il vetro del rock.
Ecco giunti alla fine dell’ascolto che ci schiude melodie trepidanti, suadenze armoniche e colorazioni timbriche, a raccontarci storie di quotidiana normalità, tinteggiandole con un soffio di malinconia e intensità rock.
Vedi la tracklist e ascolta le tracce sul player nella versione completa.