Invecchiato con cura nelle botti di rovere per nove anni, il sound dei John Qualcosa parte da lontano, forse addirittura da quel fatidico 2009 in cui AmbraMarie partecipò alla seconda edizione di X-Factor facendosi per la prima volta notare davvero dal “grande pubblico” (la sua partecipazione da bambina a Bravo Bravissimo non conta) e parte da tutto quello che dopo quel talent c’è stato, la vera gavetta maturata al fianco, tra gli altri, di Raffaele D’Abrusco, basso e doppia voce della sua storica band. Proprio insieme a Raffaele nel 2011 nasce John Qualcosa, quasi per gioco, quando i due iniziano a comporre e sperimentare sonorità più indie rispetto al progetto principale dell’artista di Treviglio. Così la musica di John Qualcosa, dopo essere invecchiata in botte di rovere, sgorga alcolica in questo liquido “ambrato” (in tutti i sensi) che ci viene offerto nelle nove tracce di “Sopravvivere agli amanti”, primo lavoro su lunga distanza giunto dopo una serie di pezzi singoli e i relativi videoclip (veri e propri cortometraggi sempre opera del duo lombardo) che i John Qualcosa hanno diffuso nei primi anni sul web, celando inizialmente la loro identità.
Con “Sopravvivere agli amanti” AmbraMarie e Raffaele svelano quindi una parte più nascosta e intima della loro anima musicale, che sembra trarre numerosi spunti dal più oscuro e ruvido cantautorato rock d’Oltreoceano ma anche dal rock alternativo italiano (non è difficile, ad esempio, sentire echi dei Verdena ne “Il ladro e la strega”) con sguardi che giungono fino al pop-rock d’autore. Si struttura così un disco che anziché andare in crescendo preferisce mostrare prima il suo lato più duro e graffiante, sicuro e aitante nella sua solida armatura, e poi comincia a mostrare anche le sue piccole o grandi insicurezze, scavando sempre più a fondo e scoprendo così i suoi lati più morbidi e introspettivi, proprio come due amanti che si spogliano un po’ alla volta. Si parte infatti con la title-track e la sua melodia ipnotica sottolineata da brucianti chitarre ossessive e da ritmi tribali che trasportano in un’ambientazione tenebrosa e affascinante – ispirata alla colonna sonora del film di Jim Jarmusch “Solo gli amanti sopravvivono” – per giungere gradualmente all’ultima traccia, “Una canzone dei Doors”, in cui vengono a galla i ricordi intimi attraverso la chitarra acustica che inizia a muovere ondate di malinconia insieme al pianoforte e ai graffianti suoni elettronici, in un vortice di tensione che cresce con lo scorrere dei secondi.
Gli arrangiamenti e la produzione dei brani, infine, puntano sempre ad enfatizzarne i concetti, come ad esempio “La mia Amsterdam” e il suo ritmo con i campanelli di bicicletta o l’ukulele che si affaccia quando viene nominato nel testo di “Una canzone quasi felice”, e i testi sembrano rielaborati da un diario in cui si appuntano memorie, desideri e pensieri.
Un disco dal romanticismo inquieto che brilla soprattutto grazie alle voci calde, passionali e magnetiche di AmbraMaria e Raffaele e dimostra, come conferma anche questa intervista al duo, che il rock italiano è in splendida forma.
P.S. Non perdetevi la ghost track…
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