Sinceramente mi sono sempre chiesto se, per un gruppo come quello di Giuliano Palma e dei suoi prodi Bluebeaters, avesse una qualche utilità dare alle stampe dei dischi. Sono nati come cover-band da palco, quasi per scherzo. Una corsa irrefrenabile verso il successo portato dall’abilità live, dal rapporto unico con il pubblico, dalla magia di una festa in comune tra chi è on stage e chi sta invece sotto il palco. Venne poi “The Album”, esordio discografico distribuito prima tramite canali non convenzionali e poi – vista l’elevata richiesta – nei consueti circuiti. E ancora “Wonderful Live”, proprio a testimoniare il lato migliore di mister Palma e dei suoi scagnozzi, ossia quello live. Ora, ecco “Long Playing”.
Ventidue brani, infilati in un disco di “lunga durata”. Anche troppa. E qui sta la pecca: questo disco dura troppo! L’idea musicale e melodica della super-band italiana è sempre lodevole: trasformare canzoni dalle derivazioni stilistiche più disparate (hard-rock, pop, cantautorato, ska, dance, ecc.) e renderle proprie ed originali, in fondo. Tutte uniformi, tutte sotto l’egida rocksteady del boss Giuliano Palma e dei Bluebeaters.
Vengono ripresi brani epocali (“Jealous Guy” di John Lennon, “Jump” dei Van Halen), così come episodi meno noti ma ugualmetne efficaci (firmati Joe Strummer, Queen, Madness, Pretenders, ma anche Paolo Conte e sigle tv). Singolarmente i pezzi reggono tutti, arrangiamenti e melodie sono perfetti. Divertono, emozionano, contagiano. Ma ventidue di fila sono un po’ troppi. Si sente che manca alla lunga la cosa che più ci fa amare il combo in questione: il concerto dal vivo!
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