Un sacco di suoni freschi nell'esordio del producer romano, fra downtempo, beatmaking e pop sperimentale
La musica di BLCKEBLY è difficile da inquadrare, ed è un piacere poterlo dire. Il primo long play del produttore romano, classe ‘91, si apre con il downtempo strumentale dal sapore asiatico ‘That Night In Middle June’, e va già bene così perché la qualità della produzione si sente e il mood malinconico funziona. Poi però My Fault cambia tutto, con un’andatura a metà fra new wave algida e beatmaking contemporaneo, il cantato che arriva da un altro mondo. INNER è fatto dalla somma di questi due elementi, un’elettronica a metà fra downtempo e dancefloor, e un pop sperimentale che ha qualche reminiscenza di Yves Tumor, minoritario nell’economia del disco ma importante. In una formula sonora abbastanza coerente, organizzata perlopiù intorno a synth morbidi, sample vocali e percussioni, in realtà si alternano e a volte si mescolano un sacco di elementi di provenienza diversa: ci sono suoni che vengono dal beatmaking trap (Desire, Let’s Dance), vibrazioni tropical/global bass (Always Been Running, Origin’s Riddim), l’electro guitar oriented alla Ratatat (Deathtongue [are we ever gonna talk again?]), gli echi del dub hauntologico (Could Have Been U), una radice black spesso poco visibile ma salda. A parte dire che ci piacerebbe vedere BLCKEBLY sperimentare più sulla scia di pezzi cantati come My Fault, non c’è nessun altro appunto da fare a questo ottimo esordio sulla lunga distanza.
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La recensione INNER di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2020-04-16 12:28:26
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