Se lo scopo di un disco dal vivo è quello di prestarsi a documentazione e testimonianza della fine di un’era e segnare, al tempo stesso, l’inizio di un nuovo cammino, gli Acustimantico arrivano al momento giusto.
“Disco numero 4” è approdo e partenza, l’addio ai tempi raminghi dell’autoproduzione e l’esordio con una etichetta non comune, quella del quotidiano Il Manifesto. Un incontro celebrato riportando su cd una parte del repertorio della band romana, colta in momenti diversi della sua attività sul palco. Abbastanza da farci capire che vivere un concerto degli Acustimantico è un po’ come mettersi in viaggio senza avere in testa una destinazione precisa. Pensando solo a girare e a stare attenti ad assorbire ogni emozione, da qualsiasi parte provenga. In fondo, è il segreto di ogni viaggio che si rispetti, del non sentirsi straniero, ovunque ci si trovi. Sia zigzagando sperduti tra il Mediterraneo sia da qualche parte in mezzo ai Balcani, oppure tirando tardi in una carovana tzigana o ascoltando, chissà dove e perché, la sapienza della tradizione klezmer.
Culture ed esperienze che gli Acustimantico hanno già fatte proprie, per poi accostarle a una canzone d’autore in grado di richiamarle e amplificarle. Non dimenticando di inserire il tutto nel vortice sintetizzato da “Disco numero 4”. Il mondo del collettivo romano si esprime così in diversi linguaggi, che vanno dall’ipnotica “Canto del telaio del cielo”, impreziosita dai “tubi sonori” di ispirazione etnica a cura di Marcello Duranti, fino alle sperimentazioni di “Raganitza”, terreno fertile per la voce di una Raffaella Misiti a metà strada tra il rigore di un Demetrio Stratos e lo sperimentalismo del primissimo Alan Sorrenti. E continua a manifetarsi avvicinandosi alle atmosfere quasi da fado di “Alfonsina y el mar” (Mercedes Sousa applaudirebbe convinta), cogliendo al volo l’occasione per arrabbiarsi di fronte alle ingiustizie (“Radio”, dedicata ai tragici fatti di Genova del 2001) e per salutare, con l’aiuto di Andrea Satta, un certo Fabrizio De Andrè (“F”), senza dimenticare la sua cara signora anarchia e l’ennesima versione di “Les anarchistes” di Leo Ferrè, inno scandito ancora una volta assieme alla voce dei Tetês de bois. Piero Brega, leader del Canzoniere del Lazio, è l’altro ospite illustre di questo lavoro (“La canzone dell’equilibrio”), che emana fascino anche quando dà il via alle danze (“Lotta di classe e d’amore”, “Questo è quanto”) e la partecipazione del pubblico si fa sentire.
Un disco semplicemente bello, come un viaggio senza destinazione.
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