E' pop. Nessun dubbio. Delicatissimo pop. In fondo Blume vuol dire fiore, in tedesco. Bisogna aspettarsi i petali, la dolcezza, il colore, le foglie, la naturalezza, la rugiada. E infatti c'è tutto. Anche l'elettronica elegante, le frasi un po' sdolcinate, l'immediatezza melodica, la riflessività d'autore. E poi una ragazza che canta e somiglia tanto tanto a Cristina Donà, forse pure troppo. Ma sono bravi questi fiori tedeschi. Usano sottilissimi cut'n'paste sintetici e ci fanno sinfonie glitch piccole piccole. Poi assumono l'aria dei cantautori e spremono le parole su poesie liquide con quell'aria sorridente del dream pop scandinavo e pure un po' dei Telepopmusik o dei Lali Puna. E giocano, giocano, giocano. Così tanto che in alcuni momenti diventano quasi oscuri shoegazer. Insomma, hanno intenzioni lodevoli, talento di cristallo e stile da farci un monumento. Il disco però è un po' sterrato ed il loro fiore barcolla e non decolla. Le idee ci sono, l'emotività mica tanto. L'impianto compositivo è pieno di attimi in cui la melodia sembra sul punto di tirar fuori il colpo stupefacente, ma d'improvviso tutto si ferma e l'intento stenta. Ed è un peccato. Forse per colpa dei testi incerti, forse per quel canto femminile un po' stucchevole, forse perchè a forza di riverberare nella gentilezza i suoni stancano e non suggestionano. Non lo so. Resta il fatto che i Blume sono oggettivamente bravissimi, ma le canzoni non sono bellissime. Fluttuano e dondolano, quasi inconsistenti. A bearsi dei caldi drappi strumentali e dell'abilità con cui vengono sventolati. Il disco merita però un ascolto e le prospettive future lasciano intravedere spaziosi prati di fiori. Per ora sono rimandati, ma speriamo tornino presto, che potrebbero inventare qualcosa di grande.
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