Sono passati quasi tre anni da quando ho ascoltato e recensito su queste pagine i due formidabili cd-r di Aquefrigide, aka Bre Beskyt Dyrene, da Roma, fulgido talento naturale della musica estrema al confine tra metal, punk e industriale. Quei demo rimangono ancor oggi quanto di meglio mi sia mai capitato di ascoltare in Italia, talmente coraggiosi e oltranzisti che, al tempo, ho dovuto tirar fuori il meglio del mio vocabolario per poterli descrivere. Poi è seguito un lungo periodo di silenzio e, quando ormai disperavo che potesse arrivare l'esordio ufficiale, ecco che mi viene recapitato il promo di "Un caso isolato".
Purtroppo il percorso che ha condotto a questo disco è stato tutt'altro che indolore e, per molti aspetti, ha deteriorato l'idea originaria. Aquefrigide è rimasto lo stesso, estremamente fresco nella rifinitura dei pezzi, micidiale nello sgranare riff assassini, dotato di una voce tra le più versatili del rock contemporaneo, capace come pochi di modellare la lingua italiana alle necessità espressive (e trasgressive) del rock duro senza per questo scadere nel ridicolo. Fino a quando faceva tutto da solo non aveva rivali, ma qualcuno deve aver pensato che si poteva fare anche meglio e gli ha procurato un super studio di registrazione, un servizio di post-produzione in Scandinavia e una sezione ritmica professionale supponendo che una maggiore tecnologia avrebbe portato automaticamente a una maggiore qualità. In realtà questo è servito solamente a "normalizzare" il suono sugli standard del metal contemporaneo, un netto passo indietro rispetto ai percorsi precedenti.
"Un caso isolato" è comunque disco valido, in grado di rifilare un sacco di punti a tutti i gruppi hard'n'heavy d'Italia. I brani migliori sono quelli che guardano ai Nirvana, frase questa da intendersi come un complimento, perché canzoni come "Detesto" o "Nebulosa" avrebbero fatto un figurone nel repertorio di Kurt Cobain. Buoni anche la ballata "Vegetale" e i mid tempo "Mefisto Hobbit" e "Anima" episodi illuminati da una ispirazione peculiare. Il resto delle composizioni si situa su una linea sospesa tra l'oscenità di Marlyn Manson, il punk'n'roll alla Hellacopters, le cadenze dei Korn, l'impeto degli ultimi Sepultura. Ma a parte un paio di episodi veramente brutti ("Fragile no Elektro" e "Freddo mercurio") quasi tutte le canzoni sono più che dignitose. Il problema è che i demo erano di un altro livello e la musica che emergeva da essi era veramente sconnessa, sperimentale, oltranzista, intrigante... Qui dominano solo strade lineari e convenzionali, livellate con il meglio che gli strumenti elettrici e gli studi di registrazione possano offrire al giorno d'oggi.
Sono tanti anni che vivo a contatto con il mondo del rock/pop, ma ci rimango ancora male quando mi accorgo che le strategie per arrivare a un pubblico più largo sono sempre quelle di accantonare le idee più originali e scostanti. Non ne faccio un problema morale. Più egoisticamente mi dispiace di non poter ascoltare dischi migliori. Al gruppo e all'etichetta auguro di guadagnare un milione di euro. Senza polemica, lo spero veramente: per lo meno sarà servito a qualcosa sacrificare il genio. E se il mondo ha aspettato vent'anni per sentire le versioni estese di "Sister Ray" e il missaggio originale di "Raw Power", aspetterà vent'anni anche per sentire i demo di Aquefrigide.
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La recensione Un caso isolato di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-12-14 00:00:00
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