Ci sono due modi per accostarsi a un disco dei Fratelli di Soledad uscito nel 2005. Uno è dire che è un disco che non aggiunge nulla di nuovo alla musica italiana, che si tratta di un genere musicale un po' trito e che per molti versi il risultato è molto simile agli altri dischi del gruppo. L'altro è scrivere che questo non soltanto è il disco che ci si poteva aspettare dall'ensemble capitanato da Bobo Boggio e Zorro Silvestri, ma anche qualcosa di più. Preferisco il secondo punto di vista, che pure non esclude il primo: si tratta di un lavoro onesto, fatto da persone che hanno saputo essere irruenti e di rottura a loro tempo, che oggi, pur con alcune varianti, si muovono in una direzione già tracciata, ribadita qualche anno fa in occasione della loro reunion.
Quindi l’impianto essenziale è dato da quella miscela di ska-combat rock-steady, marchio di fabbrica dei Fratelli di Soledad da oltre 15 anni. Spuntano qua e là un po' di soul e di funk, già dietro l'angolo ai tempi di “Balli e Pistole“ (“Verso il soul” o “Il graffio”), mentre la componente reggae, da sempre presente, fa più spesso capolino, richiamando a tratti i vicini di casa Africa Unite, come in “Nuvole di rabbia” (dedicata a Joe Strummer), lasciandosi anche andare qua e là a qualche divagazione dub.
Una ricetta per lo più già conosciuta, quindi, con qualche ingrediente in più, che insaporisce senza cambiare il gusto di fondo. Come sempre ben cucinata, da cui traspare la passione e la voglia di fare musica, tanta musica.
Solo nei testi la goliardia e l’approccio più deliberatamente provocatorio, da “pugni chiusi”, presenti nei primi dischi, cedono il passo ad una scrittura diversa, per certi versi più adulta, spostandosi su terreni meno abituali (come nella bella “Al di là del sole”).
Un disco non fondamentale, probabilmente, ma un buon ritorno, in grado di regalare episodi piacevoli, che trova la sua miglior declinazione sui palcoscenici, come nella miglior tradizione dei Fratelli.
E’ proprio la loro particolare abilità a cavalcare i palchi, che mi spinge a parlare contemporaneamente del loro concerto di Collegno, alle porte della loro Torino. La band di Bobo Boggio ha sempre avuto la capacità di produrre dei live incendiari, trainando il pubblico in un pogo selvaggio, vero mare ondeggiante di pugni chiusi alzati al cielo.
E nonostante i tanti anni di assenza dalle scene, eccezion fatta per le recenti tournée estive di “riscaldamento”, il gruppo decisamente spacca ancora. Ovviamente in scaletta prevalgono i pezzi del disco nuovo, che, anche se soffrono un po’ il paragone con il repertorio, riescono ad amalgamarsi discretamente. Tra tutte le canzoni spicca una nuova versione, più cupa ed incisiva, di “Brescia Bologna Ustica”, che mostra ancora oggi come certe ferite siano ancora crudelmente aperte, tutt’altro che sanate dal tempo.
Pubblico di casa, certo, con anche facce diverse da quelle che si vedono normalmente ai concerti di gruppi ska e dintorni. Molti amici della prima ora, ma anche tanti ragazzini, che sicuramente non hanno vissuto la stagione delle posse, che riuscì a scuotere la musica italiana dei primi ’90. Eppure quando, nei bis, parte l’irrinunciabile “Noi stiam con chi lavora/non con chi sta al potere” a ballare e pogare, cantando è proprio tutto il pubblico, senza alcuna distinzione di generazione.
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