In un genere come il black metal, con un codice abbastanza preciso di estetica, sound e parole d’ordine, spesso è difficile distinguere fra chi vi aderisce pedissequamente per fedeltà alla linea e chi, invece, vi ha aderito quando la linea era più fresca, magari ancora da tracciare del tutto. Gli Hellrairers sono un gruppo black/thrash così classico, a partire dal nome, che quasi ci si stupisce a scoprire che non sono puristi nostalgici, ma veterani della scena torinese attivi dal 1995, quando il black metal era un fenomeno relativamente nuovo. In realtà negli ultimi 25 anni gli Hellraisers hanno attraversato diverse turbolenza, con importanti cambi di formazione e lunghe pause, così che questo ‘The Macabre Dance of the Keeper’ è a tutti gli effetti il loro secondo LP. Sarà anche per la sua biografia, forse, che la band del chitarrista/cantante Insanity sembra rimasta un po’ ibernata alla metà degli anni ‘90. Il suono è quello classico della prima ondata di black metal, veloce, malefico, secco e tagliente, irrobustito da una corposa dose di riffing thrash che è a tutti gli effetti l’anima pulsante del lavoro e la vena che colora di groove i brani più riusciti (The Macabre Dance of the Keeper’, Another Chance To Die). Per il resto, le sei canzoni del lotto sono tutto sommato abbastanza prevedibili, sfoderando tutta la monocromatica palette sonora ed emotiva di un genere che, soprattutto nelle sue incarnazioni più primigenie, ha fatto degli assoluti il suo punto di forza. La qualità della produzione è grezza al punto da non capire quanto sia voluto o meno, e con le chitarre ronzanti, il basso sferragliante e le batterie pestate (con qualche interessante virata verso suoni industrial, vedi Death Again) a cui parecchi ascoltatori del genere saranno abituati ed affezionati, ma che ad altri potranno sembrare un po’ fuori tempo massimo. Qualche sorpresa gli Hellraisers la riservano per i momenti come la mastodontica Beast Hunter o Your Hypocrissy, che apre il lotto con un tappeto di tastiera rudimentale ed inquietante, rotto all’improvviso da un urlo agghiacciante. E’ qui che in effetti si risveglia quella sensazione destabilizzante che dovrebbe essere l’obiettivo di questa musica, ma che spesso siamo ormai troppo anestetizzati per provare. Insomma, tracce per un discorso in evoluzione, aldilà della fedeltà alla linea, non mancano; quello che serve forse è un po’ di stabilità e di continuità compositiva.
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