Tecnica sopraffina, dodici pedali sulla cassa, seicento plettrate di palm mute al secondo, una pila alta sei metri di coni da basso, un paio di megafoni ingoiati dalla voce guida ed un uomo preistorisco a grugnirgli in sottofondo. Se non l'avete capito, gli Agabus non fanno nè pop, nè rock. Piuttosto mettono insieme un intruglio dirompente di roba d'altri tempi o semplicemente senza tempo. Il metal (primi Metallica, certi Biohazard e poi Pantera, Lamb of God) che incontra il nu-metal (Slipknot) che incontra il crossover (Rage Against The Machine più sgraziati) che incontra l'hard core (quello old skool). Insomma tutti a incontrarsi, ma nessuno che abbia qualcosa da dire. Gli Agabus ammucchiano stereotipi e passaggi da manuale, ma si scordano di metterci le idee. Non basta la violenza inaudita e la mostruosa valanga di suono per cancellare la banalità di un dischetto indubbiamente appassionante per chi l'ha suonato, ma poco più di un esercizio stilistico di metalcore per chi prova ad ascoltarlo. Usare un po' di personalità non sarebbe un disonore. Vale la pena provarci.
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La recensione Last way left di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-10-22 00:00:00
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