PHILIP Dalla Zona 2020 - Rap, Hip-Hop, Trap

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Trap anti gentrification

La linea tra retorica malandrina e vera vita di strada, nella trap d’oggi, è sempre molto sottile. Realtà o finzione cinematografica, il dilemma è sempre lo stesso: viviamo una realtà completamente diversa da quella statunitense. Un rapper, ad alti livelli, può veramente risultare credibile come gangsta?

Il movimento trap italiano, per distinguersi in positivo, si è spesso dovuto discostare dai parametri tipicamente americani. Quello di Philip è un balzo temporale nel futuro basato sulla ripresa dei topoi che hanno reso grande l’hip-hop nella nostra nazione, ancor prima che come genere radiofonico, come filosofia di pensiero. Un’ispirazione che non verte sulla militanza dei primi interpreti emersi dai centri sociali, ma guarda piuttosto alla seconda repubblica del rap tricolore, quella antecedente al boom discografico di Fabri Fibra. Un’epoca in cui le crew s’identificavano realmente con i propri quartieri, rappresentandoli sui palchi, quanto per le strade della propria città. Un tema tornato prepotentemente nella trap, primo motivo d’immedesimazione popolare quanto ultimo ostentato caposaldo all’umiltà delle origini, gli interpreti moderni sembrano voler ribadire sempre lo stesso concetto: anche se ho fatto successo, sono rimasto quello di una volta. In Dalla Zona siamo a fronte di un prodotto concettualmente diverso: è sempre trap, ma contro la gentrificazione del genere.

Partiamo dal principio, dal denominator comune che ha contraddistinto il rap di strada in tutto lo Stivale, la panchina. Panchina (raffigurata sulla copertina dell’album) che può trovarsi in un parchetto, ai piedi di un palazzo, all’interno della piazzetta di un quartiere popolare, propulsore analogico delle energie artistiche di decine di ragazzi strappati alla piccola criminalità. C’è chi, come Izi e Tedua, ha evoluto la propria retorica in una direzione più conscious, chi ha racchiuso la propria storia all’interno di un prodotto evocativo e poetico, basti citare Massimo Pericolo, chi ne ha fatto una bandiera di perdizione grunge come Ketama, chi ha elaborato un’estetica sonora precisa, emblematico l’esempio di Quentin 40. Una storia continua iniziata ben prima che i paladini della street credibility italiana, il collettivo di Chicoria e Gemello, adottassero questo riferimento nel proprio nome.

In the Panchine riassumono benissimo la mood, il senso complessivo, del rap criminale italiano, cartina tornasole in base al quale valutare la “credibilità” di ogni altro interprete. Credibilità che traspare a palate in Dalla Zona. Il debutto discografico di Philip prende spunto dalla corrente milanese di questa filosofia, l’estetica dello zanza che ha reso celebri i Club Dogo agli albori - connotata dai riferimenti tipici della periferia di ogni città (scooteroni, panette di fumo, imbruttimento)- rielaborandola in una chiave coerente attualizzata. Operazione riuscita perfettamente grazie alla direzione artistica (guarda caso) di Don Joe.

L’altro termine di riferimento è il rap francese, il fermento di una nazione favorito da un panorama sociale completamente differente dal nostro, dove gli interpreti possono permettersi di scalare le classifiche Europee con la stessa credibilità di 50 Cent. Oltralpe, le comunità centro e nord africane sono una realtà consolidata da anni, con influenze culturali e stilistiche evidenti anche in questo disco. Dalla Zona non si limita a proporre sonorità magabrine-arabbeggianti, può vantare la collaborazione diretta con due producer parigini, YJ Production e DOGHEN. Una manciata di featuring ad effetto (Emis Killa, ShivaCapo Plaza e la giovane promessa VillaBanks) completano un prodotto godibile e reale.

Philip Vincent Cassel, Piazza Prealpi la sua banlieue.

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La recensione Dalla Zona di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2020-05-22 14:37:00

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