Separati da 2000 km sull’asse Barcellona-Bruxelles i fratelli Gianfranco e Marco Iaconantonio hanno pensato bene di approntare un loro personalissimo sistema di composizione musicale a distanza basato su nove regole ferree (se volete approfondire date pure un’occhiata qui) tali da schermare il più possibile la loro comunione d’intenti artistici da eventuali prevaricazioni creative o revisioni posticce in grado di minare la genuinità musicale e umorale delle composizioni.
È dunque all’insegna di un sano integralismo concettuale che si dipanano le narrazioni elettroniche a bassa fedeltà (e sporcate di rock) di Presa Di Ferro, alle quali i Nine Rules delegano l’arduo compito di raccontare i “tanti colpi inferti o ricevuti nella quotidianità, nelle relazioni con gli altri e con il mondo o nel rapporto con noi stessi”. Va da sé che la risultante sonora non poteva che svilupparsi su registri atmosferici di rarefatta cupezza, cangiante malinconia e pacata inquietudine, dove di base svolazzanti tossine trip-hop vanno via via a contaminare slanci folk-psichedelici (Sometimes Somewhere: una sorta di Nick Cave in preda a fregole trip-hop), suggestioni radiohediane (quella Replica nobilitata dal featuring di Pieralberto Valli), ristagni atmosferici dall’anima acustica (My Hotel) o raffinate movenze à la Brian Eno (Prise De Fer); solo per citare gli episodi più salienti di un disco che, attenzione, rimane comunque apprezzabile nella sua interezza quanto a suoni, chiaroscuri melodici e misurata forza visionaria.
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