RumoreRosa
Piccoli Disturbi Mentali 2005 - Rock, Pop, Alternativo

Piccoli Disturbi Mentali
05/01/2006 Scritto da Pseudo

Manca qualcosa al disco d’esordio dei RumoreRosa. Non so. E’ come se ci fossero dietro possibilità/mezzi – oltre che personalità - per realizzare un lavoro dignitoso. E invece abdica sin dal primo momento ad un po(l)ppettone rockeggiante piuttosto scontato sul quale assai poco ti viene da dire.

Rispetto a quanto si riesce a cogliere fra gli undici pezzi di “Piccoli disturbi mentali”, l’offerta finisce con l’andare ad incasellarsi da sé in quel famigerato scompartimento del “saranno famosi: appena entra il singolo giusto”. E quindi i dischi sono costruiti alla ricerca di “quel” singolo giusto. Stop. Come un regalone di Natale confezionato pomposamente: lo scarti e trovi i soliti calzettoni a rombi.

I numeri per tirar fuori un lavoro che dia una spolverata ad una inesistente scena mainstream rock ci sarebbero. Tanti echi – da una certa precipitosità alla Muse alla Morissette ai Counting crows più melodici, per dire i primi - a far da ispirazione al quartetto. Ma rimangono lì, mesti e stinti.

Nonostante la stuzzicante e quasi fumettistica voce di Margot; nonostante arrangiamenti puliti, netti, precisi e alla fine divertenti; nonostante la malignità degli incisi di “Teledipendente”, “Non Smetto” o ”Come Se”. Insomma: nonostante tutto questo rimane appiccicata la patina melassoide di un approccio melodico banale, di una scrittura che non spicca certo per originalità e che produce testi secondo il paradigma “universale”. Che vadano bene per tutti: dal solito decotto argomento amoroso agli ammiccamenti o l-world di “Chi Sei” passando per la sociologia spiccia.

L’attitudine al rischio è nulla, il piglio emotivo assente. C’è un disco fatto da undici canzoni studiate nel dettaglio che non graffiano se non per quanto detto. Il che già basterebbe a segnalare quale dovrebbe essere la strada dei RumoreRosa. Meno incazzatura plastificata, più coraggio nel fare rock sulla strada di “Il Giorno Peggiore”. Che chiude il disco regalandogli una sufficienza che non viene dalla forma, su cui poco c’è da dire (anche se la sezione ritmica è troppo secca, poco invasiva) ma dalla sostanza.

Né bianca né rossa, la loro onesta musica. Di un rosa, appunto, che meriterebbe di essere un po' più spinto.

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