Ritmica agile e tonante, chitarre distorte, batterie incalzanti, grande velocità: Charles Muda ha le idee chiare e il suo ep d’esordio, prodotto insieme a Mattia “Fettina” Castagna, già con Carl Brave, è un perfetto intreccio tra linguaggio scritto, musicale e artistico. In effetti “Pop art” è un piccolo concept che parla l’idioma contemporaneo della pop art, attraverso fotogrammi di oggetti e personaggi di ieri e di oggi. L’ambiente urbano, caratterizzato dallo spreco, dal consumo e dalla frenesia dell’acquisto, è una giungla aggressiva piena di contraddizioni. E l’uomo? Vive con consapevole angoscia la sua vita imperfetta, il vero deus ex machina di tanto sperpero. Charles Muda punta a una fusione di linguaggi e le composizioni del disco hanno una trama fitta di immagini, suoni e parole: scena urban, groove di bassi, flow in extrabeat, melodie robuste. Addentriamoci, dunque, in questa grottesca rappresentazione metropolitana.
Il flusso sonoro di “Pesos” è denso, intenso. La colata lavica sgorga rapida con un getto di parole che colpiscono in pieno petto; dose massiccia di energia, contenuti che svelano gli eccessi e il materialismo della società, con una perla di saggezza nelle parole di Bob Dylan a concludere il pezzo. “Alì Baba” segue, carico di elettricità; i groove sporcano il suono, ricco di timbri e colori. Questa volta è Elvis a parlare in coda alla traccia. Poi “Tutta pubblicità” esplode come una dinamite e fa scintille sul finale citando Andy Warhol. “Io corro” e “Non mi va” sono impasti digitali, suoni saturi da sembrare incubi isterici che si distendono dolci nell’ultima canzone dell’album, con una nuova galleria di altri personaggi (Judy Garland, Paul Newman; Edie Sedwick) a dirci qualcosa di sé.
Dove c’è consumismo e sperpero, c’è povertà e carestia; dove c’è crisi, c’è bisogno di un Dio in cui credere. Sarà forse il Dio denaro o l’arte, la musica, la letteratura a salvarci?
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