Michelangelo Vood, cantautore pop raffinato, in grado di scrivere storie azzeccate con la fragranza di un giovane adulto, racconta il suo mondo affidandosi a parole facili ma profonde e a sonorità ariose. Le sei tracce di “Rio nero” appaiono come un amante col cuore spezzato che arriva a chiedere il conto per il prezzo elevato della sua sofferenza. Lasciandosi andare ad un romanticismo sghembo, come se l’amore a volte contenesse i germi della sua decadenza, Vood scrive una musica carica di colori che ti mangiano gli occhi, fragile e robusta al tempo stesso. Brillano di luce propria la scrittura limpida, il gusto per la melodia, uno spleen irresistibile all’interno di quadri sonori dalle mille sfumature. Le canzoni, a volte, hanno il sapore del già sentito ma sono eleganti e generose, delicati tramonti in cui perdersi.
“Triplete”, per esempio, ha uno stile leggero che unisce personalità e tecnica. Racconta di un amore finito e della voglia di tornare a stare bene: la tenerezza non è un reato ma l’arma più affilata per superare la delusione. Stesso spirito in “Ruggine” che gigioneggia tra malinconia e ricordi. Canzoni concepite in penombra, cariche di consapevolezze e dubbi sono pure “Atollo” e “Van Gogh”, il pezzo forte dell’album graditissimo su Spotify. “Paris” è un marasma di dolcezza a buon mercato e “Le cose belle” chiudono l’album a ricapitolare un patchwork di canzoni pop d’autore.
Se l’amore è un “Rio nero” l’unica salvezza è quella vena dolce e melodica che produce canzoni pop così leggere da essere portate dal vento.
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