Il demo dei L’onda d’urto ha il potere di rendermi nervosa: a momenti le sue girandole di suoni elettronici fanno muovere piedi e capo al loro ritmo teso che non lascia spazio nemmeno ai pensieri, altre volte invece lo toglierei volentieri dal lettore per non dovermi più chiedere se la voce campionata è distorta da un effetto, volutamente dissonante oppure stonata. È un labirinto di specchi in cui non sempre fa piacere perdersi.
Il terzetto romano indovina alcune tracce (come ”Nonostante Il Fallimento”, grintosa e compatta, e “20 Punti Alla Fine”, una filastrocca dissacrante da ascoltare con la risata amara di chi di multe ne ha prese più di una), ma ne mette in fila altre in cui il tappeto reggae-dub riesce inevitabilmente ad assomigliare a vecchi esperimenti dei Subsonica, e un paio di pezzi che suonano come una reprise autoreferenziale. Di ”Finisco Ora” amo la lunghissima introduzione strumentale che si arrotola su se stessa in una spirale e prepara il moltiplicarsi delle voci con un lavoro di costruzione dell’atmosfera che non ritorna spesso nel disco. Quando inseguono a tutti i costi la “forma canzone”, invece, i risultati si fanno sbiaditi: non bastano melodie orecchiabili e assimilabili, ci vorrebbe molta cura nel gestire l’intreccio con il substrato elettronico, di cui il gruppo non difetta.
Qui però ogni tipo di emozione (anche se evocata da testi ambigui e allusivi) sembra congelata, conservata sottovetro, in una teca che quest’onda lambisce senza spezzare e da cui, di contro, non sa allontanarsi abbastanza per mantenere un distacco consapevole. L’impressione è quella di una gran carica di rabbia trattenuta fino all’implosione. Il percorso per farla uscire è tortuoso, ricco di vie esplorate a metà ma anche di rami secchi, dove la musica non entra abbastanza in profondità per lasciare il segno.
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