È risaputo ormai da tempo che l'alta lombarda ha il suono del rock. Le province di Bergamo, Brescia e Como sono una fucina sterminata di band più o meno giovani che amano sfondare i palchi dei piccoli club di paesi dai nomi improbabili, o di festival brianzoli. I Daikon fanno parte di questo calderone. Giovanissimi, tutti sotto i 22, dopo un buon ep datato 2016, escono col primo album, dal titolo chilometrico: To follow the Karate Daikon for three years: songlines to the west.
La proposta si colloca nel classicismo dell'alternative. Formazione a quattro, distorsori belli saturi, parte di influenza post-punk, parte di influenza emo-rock. Giuste quantità di sporcizia ed educazione. Non c'è nulla di sconvolgente in questa più che abbondante mezz'ora di musica. Alcuni pezzi funzionano parecchio, come Delta 9, figlio illegittimo dei Fine Before You Came, o The atomic bomb for change. Altri, soprattutto tre dei quattro singoli estratti, peccano di ingenuità compositiva, o di imperfezioni nell'esecuzione.
Ciò che pare inscalfibile però è la fame con cui i Daikon suonano tutto. Si sente a pelle la loro voglia. Questo è quello che fa funzionare questo album d'esordio, che d'esordio è senza ombra di dubbio, per come suona. E per questo non riesce a spiccare fino in fondo il volo.
Ma è un problema secondario, perchè dietro gli strumenti ci sono quattro giovanissimi che sanno il fatto loro, e che sanno come far piacere all'ascoltatore. Infatti il disco si chiude con un sample dei Monty Python. Basterebbe questo per volergli bene, ed aspettarli al varco per nuova musica.
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