Io ve lo chiedo per favore. A Notari, dico, dategli un consiglio, voi che ne siete i discografici o gli amici o anche semplici conoscenti. Perchè io ci sto male a sentire una cosa del genere. Sta muffa grungettina anni ’90. Vecchia, santa Marinella. Ma chi la suona più la chitarrina elettrica con quel wah wah, se non noi babbioni italiani che siamo cresciuti a Pausini&Pub? Sempre ad inseguire senza aver capito che inseguire è un’arte che solo gli intelligenti possono affrontare nella giusta maniera. Altrimenti si mangiano soltanto gli avanzi.
E’ sprecato, Marco Notari. Questo è uno che scrive dei testi pop come Dio comanda. Un cantautore di rock italiano ma non tipo Alessio Caraturo. Con cervello, buon gusto, la giusta dose di paraculismo metrico (“baciami/leccami/guardami”, glielo passiamo?), accessibilità popolare ma non banalità mortale. Uno che legge. Uno che sa dosare le citazioni in paesaggi mai troppo rarefatti e ma nemmeno poveri di immagini. Mi sembra un bel po’ Giulio Casale, come attitudine, che poi scopri essere il produttore del disco e allora si spiegano tante cose. Ma poi cosa fa? Un disco che sembra del fratello mascolino di Daniele Nova. Canta come i Verdena perchè pare sia l’unica maniera di interpretare in italiano la roba tipo Radiohead (periodo “Creep”) o gli Smashing Pumpkins, e distrugge tutto. Ha canzoni di pregevole fattura, di genere ma con garbo, evidentemente di scuola ma non del compagno che ha copiato, e poi le fa suonare morte. Mixaggio strampalato, corde a plin plin, arrangiamenti noiabondi ed encefalogramma ultra-piatto.
Si, ok. Qualche radio potrà anche passare “Ninfee”, il brano d’apertura del disco. Ma se davanti alla milionesima birra ci metteremo a fare i reduci attorno ad un tavolo, fra dieci anni, e non avremo altro da fare che riascoltare i dischi della nostra gioventù, be’, se mettiam su questo viene fuori un massacro. Perchè è già vecchio adesso, prima ancora magari di diventare hit-da-revival anni ’90. Magari. Perchè la roba revival deve arrivare nel tempo giusto e con la giusta dose di coolness. Invece “Oltre Lo Specchio” è un album che suona stanco e un po’ paraculo. Ed è un peccato.
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