Esattamente a un anno dalla pubblicazione del suo disco Cité Radieuse, lavoro sofisticatissimo, nato da una ispirazione architettonica come L'Unitè D'Habitation di Le Corbusier, Stefano Meneghetti prova a espandere la sua città sonora, chiamando all'azione una squadra di urbanisti e architetti musicali, senza badare a un numero specifico, cercando di giocare sulla quantità.
Citè Radieuse. The other side of concrete è un lunghissimo lavoro di remix, di reinterpretazione dell'album originale. Fatta eccezione per Olga, del tutto assente, e L'espace indicible, riproposta solamente una volta, ogni pezzo ha una media di circa cinque rifacimenti, per un totale di 26 tracce, quasi due ore e mezza di durata complessiva. Gli artisti che hanno collaborato provengono da tre continenti e tredici paesi diversi, differiscono per esperienza, fama e generi di riferimento. Una vastissima fauna.
Il progetto è certamente assurdo, e ruota intorno al concetto di espansione. Espansione della dimensione ma anche degli orizzonti qualitativi. In questo interminabile calderone non funziona ovviamente tutto. I momenti memorabili sono quelli in cui le maglie originali della musica di Meneghetti vengono deformate e affidate ad arrangiamenti techno. Sta proprio lì dentro la rivitalizzazione.
Era normale che in un lavoro così democratico dal basso potesse arrivare anche qualcosa di poco convincente, ma poco importa. Il Re:Re:mix di Cité Radieuse non è un disco che va ascoltato tutto di un fiato, finirebbe per stufare. Non è nemmeno fondamentale ascoltare tutto nel giusto ordine. Come una cesta di caramelle diverse, va pescato un pezzo alla volta, magari confrontato coi suoi simil, per divertirsi nel capire le stratificazioni stilistiche che stanno nel profondo.
Vale la pena di rischiare ed avventurarsi in questa miriade di stanze.
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