Non tutti si possono permettere di suonare una musica che viene da lontano, dimenticandosi di essere nati e cresciuti in provincia di Varese al posto di una immensa pianura americana dove l’occhio si perde nell’orizzonte. Dopo i Franklin Delano, che avevano ammaliato con il loro “Like A Smoking Gun In Front Of Me” (MadCap/File 13, 2005), tornano i Midwest, a confermare come anche in Italia l’eco poetico di una cantautorato rallentato di matrice country, quello degli Smog e dei Will Oldham, abbia scatenato voglie di spazi da conquistare con lunghi arpeggi.
Di loro si chiacchierò abbastanza negli ambienti indie quando, ammaliati dalle loro composizioni, i tipi della Homesleep decisero di dare loro fiducia pubblicando il loro primo album, "Town And Country" (2002). Oggi, la storia si ripete con gli stessi attori: cambiano gli anni, che hanno portato – alla band - maggiore consapevolezza dei propri mezzi, e – agli ascoltatori italiani – una maggiore conseutudine con un genere che ha ben poco a che fare con quello a cui sono state abituate le nostre orecchie.
Visto che arrivo un poco in ritardo rispetto ai rispettabili colleghi della stampa nazionale e forse anche internazionale, permettetemi di riportare i giudizi riguardanti questa ottima band su quelli che - a mio avviso - sono i giusti binari. Si è parlato di composizioni geniali, talento fuori dal comune. Io credo invece si tratti di un onesto, ottimo disco di genere. Cioè parliamo di una band che, sull’asse Sparklehorse-Giant Sand (dunque Mark Linkous-Howe Gelb) ha saputo modulare il proprio estro compositivo. Che non si ferma al tipico country americano, ma abbraccia anche – in maniera sempre speculare alla propria matrice acustic-guitar – il blues, il folk, il pop. Quasi a voler spiegare un titolo aperto ma decisamente icastico come “Whatever You Bring We Sing”.
In conclusione, parliamo dunque di un gran bel disco, che se arrivasse dall’estero forse si griderebbe al miracolo. In realtà, di miracoli ne avvengono pochi, e spesso commettiamo il peccato di credere che sia più facile che (av)vengano da oltre confine. Perciò, credo sarebbe più giusto riportare tutto ad una dimensione più reale e meno sensazionalistica. Dicendo le cose come stanno. E cioè che parliamo di una ottima band. La quale, però, non ha ancora raggiunto il suo optimum. Ma c’è.
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La recensione Whatever You Bring We Sing di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-11-15 00:00:00
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