Siamo in un periodo storico dove il senso di mortalità e di vivere precario è amplificato, abbiamo perso i riferimenti nel marasma socio-economico e tutto questo non può fare altro che contribuire ad un senso disorientato di solitudine e grigio vivere quotidiano. Noi siamo “I vinti”, quelli cantati dal figlio del diavolo Marquez nel suo nuovo disco, pubblicato per Bluscuro.
Città vuote, paesaggi crepuscolari filtrati attraverso la lente opaca del disincanto: il cantautorato rock dell'artista di Cesena vive di un forte impianto immaginifico, che porta le dieci tracce di questa prova in studio ad esprimere carisma proprio mediante suoni e sensazioni eterogenee. Sono visioni sonore alle quali veniamo introdotti da Marquez: un po' Andrea Laszlo De Simone, un po' Gigante, il nostro interiorizza la lezione orchestrale dei Radiohead proponendosi quale credibile alternativa ad una sperimentazione che in Italia prende spesso la deriva del Belcanto. Il suo approccio compositivo è acido, tagliente come un bisturi, quindi non c'è da sorprendersi che dopo ogni carezza si debba prestare attenzione all'arrivo di un'eventuale sberla ritmico/melodica.
C'è una romantica accettazione delle avversità in questa produzione discografica: Marquez canta l'assenza di colori cangianti e di toni caldi con la dignità e l'orgoglio di un condannato che non si pente e fila dritto verso il patibolo, a testa alta. Non c'è vittoria, ma sarebbe ingeneroso parlare di figure umane sconfitte, ed in questa sfumatura linguistica mi piace pensare sia racchiusa tutta la poeticità de “I vinti”.
Un bel disco per questo novembre amaro.
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