Pop, indie-pop, indie-rock. Chiamatelo un po’ come volete, togliete “indie”, se preferite, ma mettetevi ben in testa questi tre aggettivi: agrodolce, sbarazzino, chitarroso – a bestia. Questo è quanto emerge dal demo dei torinesi Farmer Sea, quattro pezzi mai troppo brevi e mai troppo prolissi, neanche quando sfiorano i sette minuti. Coraggiosi quanto basta, anche quando la voce gioca a nascondino, affievolendosi e perdendosi tra arpeggi, coretti e suoni strampalati che arricchiscono un piatto altrimenti di facile digestione. E c’è anche spazio per una ballata più intima, “Jazz me”, che chiude il disco e che sa, forse più delle altre tracce, di bassa fedeltà. Verrebbe voglia di godersela dal vivo, dilatata a volontà. Togliamo il condizionale: viene proprio voglia di vederli live, i Farmer Sea.
Fanno pensare, inevitabilmente, ai Pavement, con i chorus che ritornano continuamente, così facili e godibili, con un pop energico ma melodico, aggressivo ma allo stesso tempo timido, quasi dolce. Agrodolce, come dicevamo prima. Perché poi nei testi c’è una certa malinconia di fondo, smorzata da arpeggi orecchiabili: Mary che ha conosciuto troppo tardi il padre e che ha una madre alcolizzata (“Sedinho”), qualcun altro che aspetta sotto una pioggia che, per quanto possa essere estiva, è sempre la stessa, vecchia pioggia di sempre (“Same old rain”). In certi punti scomoderei addirittura – perché no – anche i nostrani Yuppie Flu, con meno silicio ma con la stessa giovialità, a tratti visionaria.
Bravi, dunque. Ora ne vogliamo ancora, e di meglio.
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