“Non posso stare senza di te”. Una frase che, abbinata agli Appaloosa, assume un tono inquietante. È come ritrovarsi legati all’interno del mattatoio di un serial killer che, mentre trivella i tuoi padiglioni auricolari con un suono devastante, ti sussurra di non poter vivere senza di te. Perché questa è una band che inizialmente risulta quasi morbosa nel suo perpetuarsi in situazioni-limite, basate su bassi distorti che mettono sotto pressione gli addominali di chi ascolta, e ritmi che – nel loro rifuggire la regolarità – sembrano orchestrati da un premio nobel per la matematica. Questo si nota soprattutto negli episodi che fanno da ponte tra il passato del disco d’esordio e il presente di questo nuovo album, fuori per Urtovox. Nella brutalità senza appello di “La Roby” – ognuno scelga se si tratta della più atipica tra le serenate d’amore o della più cacofonica tra le celebrazioni di odio verso l’ex fidanzata di turno – e nei bassi boombastici di “Are You Mons? No I’m Jurgen”.
Ma lo sguardo della band non si sofferma soltanto su ciò che era, perché ciò che sarà ha i connotati dell’eccitante. La mutazione del complesso da trio a quartetto, infatti, ha permesso allo spettro musicale dei nuovi pezzi di guadagnare parecchio in termini di eclettismo. Derogando – solo in parte, per la verità – al principio ostinato del silenzio vocale. “Brigidino”, ad esempio, diviso com’è tra surf e noise, è come una vertiginosa corsa senza cintura di sicurezza sulle montagne russe. “Ap(p)ache” di contro sembra sputata fuori da qualche poliziottesco italiano degli anni Settanta, mentre “Abort & Retry” si chiude in dissolvenza con una coda dal vago sapore elettronico.
Appaloosa in evoluzione, quindi. Da gruppo math-rock a band pulp-rock, che cannibalizza strafottente qualsiasi genere e riferimento. Quentin Tarantino li scritturerebbe subito per la colonna sonora di un film.
Vedi la tracklist e ascolta le tracce sul player nella versione completa.