Il 14 gennaio del 2019, al teatro Nazionale di Milano, Vasco Brondi inscenava l'ultimo concerto meneghino de Le Luci della Centrale Elettrica. Una serata riassumibile con le sole emozioni che hanno attraversato la sala di Piazza Piemonte, nella tensione presente tra i mille spettatori e i musicisti sul palco. Era un arrivederci fatto di repertorio, ringraziamenti e aneddoti. L'addio delle Luci, il "Ciao sono Vasco".
Di anni ne son passati quasi due, anche se sembrano venti. Dopo Mistica niente più canzoni nuove. Sarebbero probabilmente arrivate in situazione non di emergenza. Fatto sta che oggi ci ritroviamo col lavoro d'esoridio di Vasco dopo il cambio di nome. Ed è un disco live, una cartolina dal suo tour estivo del 2020. Quel ragazzo dalla voce rotta, che aveva riportato il fuoco degli anni '90 all'interno dei "cazzo di anni zero" e oltre, e che dichiarava il suo amore per Giovanni Lindo Ferretti con una versione di Amandoti troppo sentita per essere intonata, ha cambiato scarpe. Inizia a sentirsi più a suo agio, solo davanti al microfono, senza sei corde da massacrare.
Dai tempi in cui c'era -e c'è ancora- chi lo sfotteva per i "testi senza senso", Vasco ha solamente l'arma della parola. La bella parola è stata la vita stessa de Le Luci, e la sua importanza risalta più che mai oggi, in questi Talismani per tempi incerti. Ogni brano è parte omogenea dello spettacolo: canzoni proprie, cover o poesie; non fa differenza. Tutto fluisce in tutto, come si sente nel passaggio tra Magic Shop e Cronaca Montana. Il salto che da Battiato porta ai PGR è accompagnato dall'ingresso di una chitarra, e basta. Il momento è magia pura, e fa accartocciare il cuore.
La cosa impressionante è che davanti al confronto immediato con pezzi -quasi- sacri della nostra canzone, niente esce sminuito. Canzoni come Le ragazze stanno bene o Il walz degli scafisti suonano come dei veri e propri classici; lo sono senza ombra di dubbio. E qui sta il balzo, che sembra passare in sordina, ma che è importantissimo. La nuova solidità della voce di Vasco Brondi è la consapevolezza di aver fatto, negli anni, un gran bene a tutti. Di aver cresciuto almeno una generazione. Bene o male non si sa, intanto lo ha fatto.
Con questa voce canta, e lo fa bene, come mai aveva cantato. Recita poesie senza voler essere un saggio trombone, ma facendo trasparire l'urgenza di ogni scelta, da Mariangela Gualtieri a Erri De Luca a Wislawa Szymborska; nessuno che lasci scampo, nonostante le benedizioni. Infine ringrazia tutto il suo staff sul finire del concerto, e decide di tenere il momento dei ringraziamenti nella registrazione, con un atto che suona come un monito di cura nei confronti di chi lavora nello spettacolo.
Ognuno di questi talismani è prezioso, e ognuno di essi lascia una traccia mentre ascoltiamo, anche se nulla è inedito. Ma ce ne sono due che meritano una menzione speciale, e sono -forse non casualmente- quelli in cui intervengono gli ospiti. Ma se prima che parta Annarella cantata con Massimo Zamboni sappiamo già che sarà un bagno di lacrime, il duetto con Margherita Vicario su Noi Non Ci Saremo è devastante il doppio. Sia perchè non è una collaborazione che ci si poteva aspettare, sia perchè questa canzone, dopo una caterva di reinterpretazioni -non tutte felici-, si presta ancora una volta ad essere spogliata. Il trio composto da Andrea Faccioli (chitarra), Daniela Savoldi (violoncello) e Angelo Trabace (pianoforte) asciuga l'asciugabile, fa sussurrare gli strumenti, mentre i due interpreti raccontano l'apocalisse gucciniana, in uno dei momenti più alti, e pregni di significato, del 2020 musicale.
Il 2020 è finito, e Vasco Brondi è tornato, con questi inni, sacri e soprattutto profani.
"Ringraziare desidero [...]
per l’attenzione
che è la preghiera spontanea dell’anima"
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