Il nuovo album di Alberto Nemo procede in due direzioni parallele, che quindi si incontrano poco e niente ma procedono nella stessa direzione, disegnando un lavoro dall’impronta chiara e definita. Da un lato c’è un lavoro sul testo: due poesie di Sandro Penna, (Il nuotatore e Le porte del mondo) interpretate in maniera antitetica, una intonata al tappeto melodico in una “recitazione musicale”, l’altra sbrigativa e consegnata su un pavimento concreto di rumori di sottofondo. Poi Meraviglioso di Modugno, spogliata di ogni melodia e abbandonata al pulsare ritmico di cassa e basso sintetico. Dall’altro lato, l’espressività muta della pura voce. La ieraticità antica di Contatto e L’ottavo giorno è un richiamo che viene da un Mediterraneo ancestrale, trasportato su corde pizzicate o sorretto da un post metal ipnotico. Mayday e Fortuna invece mettono in campo lo spettro del canto lirico e della musica classica, condensato in una melodia eterea e potente come quella che si ripete lungo tutta la traccia d’apertura. A fare da collegamento, la strumentale per solo piano Assenzia, che si colloca proprio a metà tra le tre tracce senza parole e le tre interpretazioni di testi, con L’ottavo giorno che disfa la struttura a sette aggiungendo, appunto, l’ottava traccia. In una discografia amplissima come quella di Alberto Nemo, che gioca però su processi ed elementi comuni, ‘Mayday’ si distingue forse perché mette in pratica due aspetti tipici del percorso di Alberto, la ricerca sull'interpretazione testo e sulla voce come strumento, in forma particolarmente cristallina. Verso la significativa boa dei 50 album, potrebbe trattarsi anche di un buon punto di inizio per orientarsi in una produzione così peculiare.
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