É come se il Nord America e il Regno Unito avessero germinato una cellula di indie rock alternativo a Padova, a partire dagli anni '90. Ora gli Hope at the Bus Stop hanno racchiuso nell'album "And a Thousand Other Things" l'atmosfera serale di un ritrovo fra amici di lunga data, con le loro storie che si riabbracciano "dopo giri immensi" tenendo un bicchiere in mano e respirando un po' di fumo nella stanza: è un'immagine semplice, quasi classica, ma sempre cinematografica; pensarla oggi, mentre la pandemia continua a tenerci separati e lontani, sembra ancor di più un sogno bellissimo, irrealizzabile. Con voci, chitarre, basso, percussioni e tastiere, il quartetto compone brani molto evocativi e affascinanti, dalle sonorità internazionali, rigorosamente in inglese.
Per tutta la durata dell'ascolto il disco offre variazioni accattivanti, dal rock al pop, con una bella voce e un andamento libero e scanzonato. Le nove canzoni suonano come improvvisazioni estemporanee che nascondono in realtà uno studio attento, riuscendo sempre a mantenere una spontaneità originale e una coerenza con il proprio immaginario: hanno arrangiamenti sorprendenti con l'approccio imprevedibile che ha solo il Jazz. L'auspicio è che questa gemma veneta possa germogliare e che il suo Paese si riveli addirittura attento al talento di casa, ma da questo punto di vista purtroppo si sfiora l'utopia. Eppure gli Hope at the Bus Stop meriterebbero un posto nelle prime file del globo, ben oltre i confini nazionali.
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