La prima volta che ho premuto play al nuovo ep di Rareș, Folk_2021, ho avuto un momento di sussulto. Una visione, forse irrazionale, davanti ai miei occhi. La figura esile e allungata di Nick Drake, con la sua chitarra dalle accordature assurde in mano. Sarà probabilmente frutto di un'allucinazione, e a mente più fredda Intenzioni sembra essere più figlia del genio di John Martyn. Ma a parte tutto, quello che Rareș vuole farci capire, in questa perla di appena un quarto d’ora, è che lui fa sul serio, e nella musica ci vuole rimanere invischiato.
Curriculum Vitae era senza dubbio un grande esordio. Uno spazio aperto in cui il giovane cantautore veneto sfoggiava la sua voce straordinaria, facendola stagliare su tutto. Al centro delle canzoni c’era lei, insieme a melodie pop immediate e perfettamente costruite. Una raccolta di svolazzi.
In Folk_2021 la voce è invece parte dell’affresco. Un elemento uguale agli altri. Prima creatore di suono, poi forse di parole e significati. E non perché i testi siano irrilevanti. Viaggiano sul binario dell'assoulta delicatezza e si permettono di giocare, di avvilupparsi, ingarbugliando le parole le une sulle altre, mentre svelano pezzi di dialoghi di un amore che non afferriamo del tutto, ma del quale sentiamo bene la presenza. Sbucano spesso tra i versi estratti poetici estremamente intimi, che ricordano quella tradizione anglofona dei maestri di fine anni ‘60, ma senza reverenza o citazionismo inutile. Rareș recupera i modi, e se ne appropria. “In fila indiana/ L’ultimo figlio di puttana/ Probabilmente la stessa città ci inganna” sentiamo cantare in Figli, in una melodia à la Frank Ocean che si muove tra i grumi del piano, e di una chitarra elettrica mai ingombrante, in attesa che arrivino i fiati e le voci del coro -Acqua Distillata, Marco Giudici, Luna Civettini, Vin Martin e i Bye Now- a coronare il tutto. Il garbo sposa l'inquietudine criptica, e lo fa splendidamente.
È il sound -frutto della produzione di Novecento e dello stesso Rareș, in collaborazione con Giuseppe Vio e Marcello Della Puppa- che si è fatto più torbido, sporco e pieno. Tutti gli strumenti sembrano suonati da un corpo solo, attraversati da una stessa forte vibrazione, perchè fanno parte di un unico canovaccio, che spesso è abbozzato, altre volte più rifinito. L'aspetto che più colpisce di Folk_2021 è la sua natura sperimentale, il suo rimanere "in divenire". Si tratta di cinque pagine di appunti scritti benissimo, che non hanno bisogno di essere perfetti, perchè protetti da una cortina sonora, da un ronzio che dà loro un'aria d'altri tempi. Non è nient'altro che uno scorcio di grande musica, e questo basta.
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