Marco Castello
Contenta tu 2021 - Pop, Jazz, Funk

Contenta tu
05/02/2021 - 10:00 Scritto da Vittorio Comand

Ironico, scanzonato, divertente, ma anche con un velo di leggera malinconia: Marco Castello trova la chiave per unire armonie jazz, groove e cantautorato

"Dopo così tanto tempo, mi sento un po’ il pagliaccio della città". Così mi aveva rivelato Marco Castello a settembre, in occasione dell’uscita del suo terzo singolo, Cicciona. Si stava parlando del suo disco, pronto da due anni, di come a Siracusa lo stessero aspettando da tanto e della frustrazione del dover rinviare ancora la data di uscita a causa del Covid. Cinque mesi dopo, ci siamo: l’album è finalmente uscito, si chiama Contenta tu, è stato pubblicato da 42 Records in collaborazione con Bubbles Records.

Contenta tu, prodotto da Marcin Öz e Daniel Nentwig, è pervaso da una maniacale voglia, se non addirittura bisogno, di estate, con quella spensieratezza e quella libertà che, grazie alla combo inverno e covid, sembrano un miraggio. Lo si sente soprattutto nei testi, in cui quel velo aulico di cui spesso si copre in cantautorato viene sciacquato da versi semplici, a tratti ironici, senza mai scadere nel banale. Dal "cazzo sul diario con le orecchie di coniglio e gli occhi grandi" disegnato all’inizio di Porsi, ritratto di scanzonata nostalgia verso gli anni della scuola, o il "cagare" cantato in un mezzo falsetto in Villaggio, fino anche a immagini grevi, ma non meno divertenti – "Faccio pietà che i cani morti mi danno le pacche di solidarietà", da Dopamina, è una frase che potrebbe dire il comico Jimmy Carr in un suo spettacolo –, il piglio beffardo di Marco è uno degli elementi più efficaci del disco.

Gli arrangiamenti non sono da meno: tra il Battisti di fine anni ’70, Enzo Carella, i Nu Guinea e i Vulfpeck, la musica di Marco riesce a unire armonie jazz, ritmiche disco funk e un’incontenibile anima pop. Prendiamo Torpi, già pubblicata questa estate: su un groove irresistibile di batteria, suonata dallo stesso Marco, si incastra meravigliosamente una saltellante linea del basso di Lorenzo Pisoni dei Tropea – qua in modalità Verdine White –, mentre le tastiere di Leonardo Varsalona e la chitarra di Marco si chiamano a vicenda e danno un colore rovente al brano. Quando, poi, entrano gli archi a sostenere la voce, il pezzo raggiunge il suo culmine.

A tutto questo si contrappone una malinconia confortevole, delicata, figlia dell’esperienza di Marco al fianco di Erlend Øye dei Kings of Convenience con La comitiva, che salta fuori nei brani più intimi e rallentati: su tutte, la title-track è un ritratto dolceamaro di Siracusa, in cui ci si rassegna di fronte a tutti i difetti di una città "bella ma cretina", che tra fabbriche ed ecomostri perde il suo fascino antico; ma è pur sempre casa, è lo sfondo su cui tutte le altre canzoni del disco prendono vita: nonostante tutto lo schifo che la avvolge, non si riesce a smettere di amarla.

 

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