Il cantautore che sguazza le atmosfere da Pentapartito pubblica un nuovo album convincente: continua l'ascesa politica...ops, discografica, di Andreotti.
Nel 1973 Giulio Andreotti era Presidente del Consiglio, prima che una rovente crisi di governo in pieno luglio lo porterà a rassegnare le dimissioni dal suo ruolo apicale. Esattamente venti anni dopo, sarebbe nato Andreotti (senza Giulio, quindi, per dirla alla mo' dei trapper, ebbasta), cantautore che sguazza le atmosfere da Pentapartito alimentando il proprio lascito discografico, per una seconda volta in collaborazione con MiaCameretta Records. Questa presentazione labirintica è il minimo che si possa fare quando si cita l'enigmatica figura e la levatura politica del “Divo Giulio”: la sostanza è molto più immediata, perché dopo l'esordio intitolato “1972” (datato 2020), Andreotti propone “1973”, datato 2021.
Un segnale di serena linearità che introduce otto tracce connesse con quanto inciso nel primo long play: il cantautore romano è pieno padrone del processo creativo, disegnando tinte sonore marcatamente vintage in bilico tra ritmi e synth retrò. È il basso autentico protagonista, che ha l'onere e l'onore di amalgamare un apparato sonoro organico e pulsante di carisma; ogni elemento strumentale contribuisce a restituire quel sapore di nostalgia malinconica, disillusa e nichilista come alcune sfaccettature degli anni '70 un pizzico impolverato, messe in luce secondaria rispetto agli scintillìi del funky. E se il timpano risultasse restìo ad abbandonarsi a determinate emotività dettate dalle note, ecco che incalzano i testi: decisamente più atemporali, si cavalca tra i decenni su un destriero carico di riferimenti tanto intimi quanto universali, ed anche solo citando i titoli si alternano personalità come “Batistuta”, “Batman”, “Righeira” e “John Wayne”.
La realtà è che, con o senza pinne, fucile ed occhiali, “1973” è un disco nel quale bisogna immergersi, lasciandosi trasportare dalle sinestesie uditive che fanno scorrere immagini davanti agli occhi. Piacevole, sussurato, intimo e talmente comunitario da sventare qualsiasi estrinsecazione isolazionista; il rischio del soliloquio è dietro l'angolo, ma qui è evitato con eleganza. Questo disco sembra stia dialogando con te nel modo più personale ed esclusivo, mentre invece riesce ad irrobustire il proprio rapporto con ogni fruitore, un po' come il perfetto politico è chiamato a fare con i propri elettori.
Andreotti insegna.
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La recensione 1973 di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2021-04-10 01:45:54
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