L'esordio degli Ilienses è un viaggio affascinante nella Sardegna nuragica, a metà tra folk e linguaggi moderni
Il duo Ilienses prende il nome da una delle popolazioni della Sardegna nuragica e già questo basta a dare un’idea dello spirito del progetto e di questo primo album: ‘Civitates Barbariae’ è un racconto che prova appunto a trasportarci nel mondo delle tribù sarde e della loro cultura, delle loro lotte intestine e della sconfitta contro l’invasore continentale. Un arazzo che abbraccia 2000 e più anni di storia sarda in cui convivono spiritualità pagana, i versi del poeta ottocentesco Peppinu Mereu, gli ancestrali carnevali sardi e la loro musica, la cultura dei nuraghi e i suoi misteri, un approccio musicale narrativo contemporaneo. Anche se c’è un certo spirito divulgativo, con i testi in italiano a introdurre e chiudere la storia, l’uso evidente di strumenti tradizionali, siamo lontani dall’opera filologica e più vicini a un modo di raccontare moderno, vivido e sanguigno, a metà tra storia romanzata e fantasy realistico come quello che si vede in tanti film e serie di successo. Gli appassionati di Vikings o del post-folk pagano probabilmente, in effetti, probabilmente non avranno difficoltà ad associare l’omonima traccia di apertura di ‘Civitates Barbariae’ a qualcosa come “Wardruna in sardo”, e anche l’affascinante cortometraggio che accompagna il lavoro ricorda le atmosfere dei video di Einar Selvik, trapiantate nel Gennargentu. Non lo si dice per scherzare, è semplicemente che il gruppo norvegese si rifà a quell’interpretazione moderna di un ipotetico suono globale delle culture tagliate fuori dalla storia dei popoli “civili”, un battito esoterico e ancestrale che abbraccia riti sciamani, culti ctoni, peana di guerre senza nome, e può essere declinato a qualsiasi latitudine. Per esempio, utilizzando tumbarinos, pipiolos, tumborro, corno, triangulu, campanacci e canto a tenore gutturale, strumenti tipici di Gavoi e Tonara, ad un’isola in mezzo al Mar Tirreno. Gli Ilienses però fanno il passo successivo, tentando a tutti i costi la strada di una connessione tra passato e presente tra lo sguardo del narratore e l’oggetto della narrazione: a partire da Littos, basso, batteria e stangate di piano ci introducono ad una formula complessa in cui si alternano e si mescolano un post-jazzcore terragno di bassi e batterie rocciose, occasionali evocazioni di chitarra elettrica, intarsi fusion/progressive di tastiere e flauti, racconti di memorie tribali su tamburi di guerra, ambient/drone rituale tra synth ed elementi organici. Insomma, scenari diversi che scorrono con andazzo cinematografico nelle sette tracce del lavoro, tenuti insieme dalla coerenza dell’immaginario e della narrazione, ma anche da layer costanti di sonagli e campanacci, vocalizzi e fiati tradizionali, perfettamente a loro agio nei momenti più post-folk e piacevolmente stranianti negli altri. I colori prevalenti sono quelli scuri e saturi da fantasy storico/pagano, ma c’è anche spazio per deviare dalle atmosfere da serie Netflix, quando il il post-jazz rurale viene irretito da flauti bucolici e la tensione arcana si scioglie in passaggi di piano morbidi. A ricordarci che le culture ancestrali non sono solo una variazione sul tema fantasy per avventure crude e fuori dalla grazia di Dio, ma la testimonianza di vite e comunità sfaccettate la cui eco riverbera ancora negli usi e nelle consuetudini delle società moderna, soprattutto in regione con una storia unica come la Sardegna. Questa prima incursione nelle radici dell’isola è un disco che ci mette faccia a faccia proprio con la ricchezza dei patrimoni culturali dimenticati dei nostri territori, e con la possibilità di esplorarli con spirito inadagatore, ma anche per cercare quel brivido antico e incantatore per cui spesso ci rivolgiamo a storie lontanee e panthéon stranieri. Un’operazione meticolosa da cui nasce per forza di cose un album denso, con un’identità musicale fortissima che ci ha entusiasmato nel senso più antico del termine e di cui non vediamo l’ora di sentire il seguito.
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La recensione Civitates Barbariae di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2021-05-26 19:33:20
COMMENTI (3)
Musica poesia in cui perdere la cognizione del tempo e dello spazio
Siate curiosi e non ve ne pentirete. Merita davvero...
Il mio brano preferito è a ferru frittu