Mettiamoci comodi. Che è la mia prima recensione per questo spazio cui volevo già tanto bbbene. E poi non è un disco come tutti gli altri, Mr.Henry (& The Rats). Lo dice il suo background, lo conferma la label per cui esce, Suiteside vuol dire fiducia. Comodi e soli, sgombri di pensieri: set and setting ottimale per qualsiasi scrittura, figuriamoci per una che segua l'ennesimo ascolto…
Dlèng! Che succede? Volevo restare solo, e "No-Sense #5" mi suona al citofono per portarmi in birreria? Di metà settimana poi… il tempo di vestirmi ed eccomi appoggiato al bancone, una rossa d'abbazia grazie, sul palco un ensemble di varesotti macinano una canzonaccia fintoblues fintohard fintovissuta, tipica delle birrerie semivuote del mercoledì. Scelgo uno sguardo un po' stranito e non certo accomodante, mentre altri in cuoio vanno sotto il palco a fare il segno delle corna più il pollice. Qualcuno dovrebbe pure trovare un nome, a questo codice comune d'empatia rock.
Bravi, eh, ammetto al mio complice immaginario. Ma non è 'la mia'. Per fortuna dopo la seconda apparentata alla prima prendono una pausa, non si sa perché. E la solerte cassiera piazza sul lettore un apparente antologia del Waits più laterale. Oooh… riconosco subito le note di "No-Sense #91276", è quando Tom con la macchina del tempo ha fatto conoscere Kurt Weill e Capossela, in un anfratto sedizioso della Repubblica di Weimar… "quelli sul palco non salgono più, garantito". "Oddio" - mi fa uno sconosciuto in un orecchio - "guarda che sono le stesse persone". O mamma mia. Era quel disco un monito? Un invito?
In effetti riprendono, come se le prime fossero soundcheck, barbagli d'anticipo che fanno dileguare gli alternatives dopo avere dato un contentino non si sa quanto convinto.
La strada di Mr. Henry, al secolo Enrico Mangione, si fa più suggestiva di come pareva essere: lacrime di Thom Yorke sugli spartiti orchestrali di Pall Jenkins in "No-Sense #69", un canto (mid)west errante –"No-Sense #74"- cui manca solo l'armonica e il saloon, la b-side della traccia strappalacrime per l'ultimo matrimonio di Benigni e Nicoletta: siglata #479 nel suo essere "senza senso" come tutte le altre, dove il suono che ascolti proviene dallo strumento che non ti aspetti, arrangiato e trattato in maniera inedita, folle, sgangherata in senso buono…
Magari Henry registra anche in casa, low-fi, come potrebbe parere all'ascolto del #555, oppure manda un suo figlio degenere al college col numero di matricola #1258; ma resta spavaldo e orgoglioso contadino, strumenti grossi e cervello sopraffino. Non gli si crede, se professa astensione alcoolica: ché io e lui dopo il live abbiamo condiviso il tavolo e fatto tardi, rosso rosso rosso (#80 e la morose #7), bianco è il mattino in cui ci siamo trovati riversati in hangover sui rispettivi lenzuoli a russare e dialogare tra sé nel respiro cavo, inintelligibili se non al modo onirico del grammelot senza discorso, parole del sonno inventate e per questo più nostre.
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