Un gothic rock oltremodo derivativo e claudicante che non riesce a conciliare armoniosamente l’anima dark con quella hard rock.
A fine giro di giostra l’impressione è che i triestini My Mannequin, nonostante il più canonico degli ep d’esordio per prendere le misure (As Delight Deceives del 2016) e ben cinque lunghi anni a disposizione per riordinare le idee, non siano riusciti ad affrancarsi più di tanto da quel gothic rock derivativo che li sta marchiando a fuoco fin dalle origini.
Vero, rispetto alla prima uscita c’è stato un parziale alleggerimento dell’addensante metal ma ciononostante talune influenze risultano ancora fin troppo riconoscibili e ingombranti: da una parte l’accoppiata The Mission / Sisters Of Mercy, per il comparto più darkeggiante affidato al basso ossessivo e alle cupissime chitarre taglienti (Brainshow), dall’altra l’asse finnico The 69 Eyes / HIM (One Last Kiss e Lady Harm-Ony) per quello più scenografico e hard rock oriented, sorretto dalle aperture distorte della 6 corde, dai vaporosi tastieroni notturni e dalle linee vocali tenebrose e piacione di Gjorgji Bufli (la voce del quale sembra appiattirsi a tratti su quella dello stesso Jyrki 69 dei The 69 Eyes).
Fondamentalmente – tralasciando l’immancabile ballata di turno che appesantisce soltanto il minutaggio del disco (Where I Belong) – è proprio la convivenza problematica tra le due anime (quella gotica e quella hard rock) a non far decollare atmosfericamente il disco, come del resto sta a testimoniare quella Dreadful/Beautiful che, per una sorta di accumulazione seriale di luoghi comuni del genere, finisce per implodere su se stessa, disperdendo un peraltro interessante immaginario horror di fondo.
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La recensione Jewels of Misery di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2021-07-03 09:48:50
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