L'urgenza espressiva della generazione z tra punk, trap e qualche cliché
Ad essere nato (non troppo) prima del ‘95 e recensire un EP come questo si rischia un “ok boomer” grande quanto una casa, perché è chiaro che un gruppo che sceglie di chiamarsi GenZ aspira a raccontare in prima persona l’esperienza e il sentire di una generazione a cui non si appartiene. Ma ci proveremo comunque: partiamo dal fatto che questa autonarrazione generazionale, musicalmente, è incarnata ovviamente con la trap è un cantato in autotune spintissimo, ma cavalcando la recente wave di pop/punk-trap, intrisa peraltro delle nostalgie adolescenziali della generazione precedente. La particolarità rispetto ad altre produzioni del genere e che il tutto assomiglia più ad un punk ruspante trasformato in beat che ad un beat trap fabbricato con pezzi di punk rock. Chitarre e batterie sono molto rustiche ma anche questa spontaneità mantiene qualcosa di interessante, specialmente nella deviazione grunge-blues di Non ne posso più. Sopra le basi, nelle cinque tracce scorrono uno scontro generazionale (legittimamente) infuocato in Non ne posso più, in Diversi ci sono i frammenti della consapevolezza di appartenere ad una generazione che ha un rapporto diverso con la “diversità”, uniti alla convinzione di essere effettivamente una generazione diversa dalle altre (quanto legittima, potrà dircelo solo il tempo). C’è anche il solito pendolo che oscilla tra il consumismo sessuale di Uno come me, con il classico corollario di troie e cazzi in bocca, e la sadness romantica e disperata di Salvami e You Lied. Quasi un paradosso, in cui però sembra essere rinchiusa buona parte dell’esperienza emotiva di una generazione, o almeno di chi prova a raccontarla in musica. Una narrazione veritiera, approssimativa, sincera, stereotipata? Questo non sta a noi dirlo. Però possiamo dire che questi temi e questi toni li abbiamo sentiti ormai parecchie volte, e la narrazione della generazione Z come incapace di uscire al di fuori dei cliché è proprio quella narrazione boomer a cui non vogliamo credere. Nella convinzione che i ragazzi tra i 15 e i 25 anni come quelli di Gen Z abbiano ancora tutto il tempo e le possibilità per raccontare e raccontarsi al meglio.
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La recensione BROKENHEARTS di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2021-08-08 21:13:05
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