Paolo Moretti dice di essere un “polistrumentaio, cioè suonare tanti strumenti senza saperne suonare alcuno”. Quello che fa in questo EP, (composto, suonato, registrato e mixato senza contributi esterni) assomiglia all’impresa di costruire un’astronave con pezzi di carrozzeria di seconda mano. E mi lascia come una bambina stupita e sorridente con il naso all’insù, quando la sua navetta spaziale strampalata si stacca da terra e prende davvero il volo, con qualche chitarra acustica che fa girare il motore e la sorprendente orchestra di pentolini a dettare il ritmo delle luci intermittenti: un po’ la scena descritta in "Fuel level", con la differenza che questo lavoro ha tutta la benzina che gli serve.
Per mettere assieme il puzzle, Moretti ha rovistato nei garage di Beck e dei Blur, con il piglio da rumorista di cartoons, provando a tirar fuori suoni da qualsiasi cosa ci fosse a portata di mano, che si trattasse di una chitarra distorta presa in prestito ai Sonic Youth o delle foto-ricordo di Tom Waits e dei Beatles.
Il risultato sono dodici tracce che dell’estate conservano il sapore rilassato, e un raggio di sole caldo che si stiracchia sulle pareti nel pomeriggio. Alcune sono velate di una malinconia lieve e surreale (ad esempio "Song For My Sister", dove un “dovresti essere la mia sorella maggiore, potresti insegnarmi come sbucciare una pesca” porta in regalo una serie di ricordi d’infanzia che fanno stringere gli occhi in una risata amara), altre spaziano nel lo-fi senza contraddire l’attitudine melodica che sta alla base dell’intero disco.
Le canzoni hanno il pregio di azzeccare la giusta misura, quasi tutte brevi ma concentrate, e l’insieme eterogeneo è graffiante, tanto che questo bizzarro personaggio si fa perdonare alcuni passaggi un po’ troppo simili a quelli dei signori da cui ha preso in prestito le lamiere dello shuttle. E può succedere, dopo che le ultime note di "Tesla Intersection" si sono spente, di cogliere il senso programmatico del folle brano di apertura, in cui una voce chiede “mi fai provare il tuo cervello un’altra volta?”: il viaggio nella testa dell’autore è finito ma, al contrario dell’imbarazzato protagonista di "Can I Try Your Brain" (a cui l’interlocutore risponde “no, assolutamente no, una volta è abbastanza!”), io posso far partire il cd daccapo.
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