Quando un artista ha una visione chiara di ciò che vuole creare con il proprio progetto, non sono necessari colossali dischi interminabili per trasmettere il senso della propria opera. Prendete per esempio Svevo Susa, con il suo piccolo EP d’esordio Ognissanti: quattro canzoni per quindici minuti, e l’occasione di raccogliere due singoli già usciti autonomamente (Immagine o rumore, Luoghi sacri) unendoli ad altri due inediti (Legge marziale, Quanto pesa). Apparentemente un’inezia, eppure la densità dell’opera è tale da essere un compendio delle intenzioni poetiche e musicali del musicista romano.
La base di partenza è il pop italiano dell’ultimo decennio, quello in cui la commistione con l’indie e i sintetizzatori è stata più pervasiva. Anche gli argomenti sono alla fine piuttosto topici: l’amore, le relazioni, la quotidiana socialità di un millenial. Il tocco di Svevo Susa sta nella violenta torsione che opera sui topoi musicali e tematici: le sonorità tipicamente happy e sbarazzine dell’ultimo decennio si trasformano in beat oscuri e avvolgenti, una ragnatela musicale che se da un lato ha la consistenza della seta, dall’altro avvolge senza scampo l’ascoltatore nella sua trama. Uno stravolgimento parallelo avviene anche nel tono con cui le classiche tematiche da canzone pop vengono affrontate: si parla sì d’amore, ma è l’amore di un cuore dispotico e crudele, un tiranno feroce e macabro, presentato in Legge marziale con toni quasi da splatter. Anche un brano come Luoghi sacri, apparentemente incentrato su una situazione piuttosto banale come incontrare una bella ragazza ad un concerto, è attraversato in realtà da una pulsazione oscura e ossessiva, da rito misterico.
Del resto le suggestioni religiose e mistiche sono disseminate lungo tutta l’EP, a cominciare dal titolo stesso: anche qui, però, il riferimento religioso non è usato come sinonimo di salvezza o conforto, ma piuttosto per enfatizzare l’aspetto quasi sciamanico, ombroso e magico, della realtà quotidiana che ci circonda.
Ognissanti è un’occasione per immergersi nel lato più cupo del pop, cercando di sincronizzarsi con quel battito oscuro, ma spesso ignorato, che alberga dentro ciascuno di noi.
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