Motta
Semplice 2021 - Cantautoriale

Semplice

"Semplice" dimostra l’umanità fragile con cui un vero musicista cresce, in cui i traumi lasciano il posto a una luminosa bellezza

Francesco Motta ci ha abituato nel tempo alla normalità della sua musica. Gli accordi, sempre gli stessi importanti accordi della canzone tradizionale. Le parole, anche loro poche e poco ricercate, e  per questo sempre pesanti da digerire. Prima un manuale sulla crescita, poi un manuale sulla vita. E ora che cosa viene dopo un così importante romanzo di formazione, che è stato sulla bocca di tutti, cantato per anni?

Semplice parla del suo autore, ci dimostra l’umanità fragile con cui un vero musicista cresce, senza passi da gigante. Ci mette davanti una crisi profonda, ossia come conciliare l’enorme voglia di suonare senza ripetersi. La sincerità della composizione e gli arrangiamenti di queste dieci canzoni sono troppo belli per farci rimanere delusi anche solo per un secondo. Parafrasando Via della luce, come si fa a fuggire “da questa finta guerra che faccio ogni volta per poter scrivere una canzone”? Forse lasciando da parte l’idea di un progetto, e lavorare quello che viene. E qui il lavoro si sente, eccome.

A essere semplice è la natura da kolossal che questo disco assume in tutta la sua durata. A te porta scompiglio, è una Walk on the Wild Side altisonante suonata in un parco della musica dove si possono toccare tutti gli strumenti del mondo per far confluire i loro suoni nel miglior modo possibile. Chitarra dilaniata, archi che si rincorrono, struttura che si sfilaccia nell’ultimo minuto, e un piano dissonante nell’outro. Tra i migliori brani mai scritti da Motta.

Lo shock è solo iniziale: il duetto con la sorella Alice in Qualcosa di normale è un ricco diario tra l’infanzia e il presente scritto sull’eco di De André, mentre Semplice è un perno fondamentale, forse la traccia più importante, dove il lavoro di Taketo Gohara si fa più sofisticato e brillante e il senso completo dell’album inizia a delinearsi davanti a noi.

E anche se L’estate d’autunno è molto simile a E poi finisco per amarti, anche se c'è un diffuso senso di familiarità, a fare la differenza sono i dettagli. Le atmosfere diventano a tratti rarefatte, ne Le regole del gioco arpeggi acustici e mandolini risuonano in uno spazio vuoto, come una grotta, prima che pochi colpi di batteria diano lo strappo finale. Quando guardiamo una rosa, canzone fatta di due anime che si respingono e che non si incontrano mai, chiude le danze in modo circolare, restituendo la sorpresa dell’inizio.

Dopo i primi quattro ascolti sento che Semplice sta sedimentando a poco a poco. È un disco a cui ci si deve abituare, perché Motta ha meno traumi da raccontarci per quello che sono. Ha trovato un filtro poetico, cominciando a parlare per immagini, agghindando il suo vissuto e facendolo entrare a tratti in un gioco di metafore delicato e da decifrare. Ci metteremo un po’ di più tempo del solito a imparare tutti i pezzi a memoria, ma al momento giusto canteremo tutto a squarciagola, sottopalco.

 

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