Sin dagli esordi, Maggio si è appiccicato addosso un genere che si è costruito da solo: qualcosa di molto preciso nel panorama del rap italiano, ormai espanso e consolidato. Il suo emo-rap, per quanto le etichette di genere siano ampiamente superate, è sintomatico di una generazione che sa rielaborare i riferimenti e mescolarli, senza paura di rientrare in un solo genere preciso, ma anche con il coraggio di fare rap secondo la propria cifra, in questo caso senza la tipica spacconeria edonistica, ma con genuina fragilità.
Roberto He, origini cinesi, ventiseienne romano adottato da Milano, già nel 2018 era nei nostri CBCR e, adesso, in Nel mentre (lato A) racconta debolezze con lucidità, indagando sulla crescita personale e le relazioni prendendo una strada diversa in ogni canzone: dall’overthinking di E pensarci, la riflessione generazionale di A 26/27 anni, Ora Vorrei vicina alla slam poetry, il flow da simil-freestyle della traccia di apertura Chiudere Un Occhio opposto alla struttura classic rap di Aprire Un Occhio che il disco, invece, lo chiude.
Le diverse formule scelte per ogni canzone sono tutte riuscite e l’uso di metriche sempre diverse costituiscono un flow che scorre sereno ma che sembra trascinato dal suono delle parole. Che sia il suono a guidare l’album è solo un’impressione, in realtà: i testi si portano dietro profondità e dignità letteraria, una scrittura attenta e narrativa con picchi di simbolismo e slang poetico – “Ora vorrei un Crispy sciallo in giro” una delle mie frasi preferite dell’album, con la sua disarmante voglia di leggerezza.
In Altrove mi colpisce il verso “Non canto ancora a modo, ma adesso so chi sono”, ed effettivamente Maggio resiste alla tentazione di barattare il rap puro con il cantato, eccezion fatta per il tentativo cantautorale di Non parlarmi di altro, e l’album racconta una consapevolezza ricercata e trovata, come artista – con uno stile vocale riconoscibilissimo anche al primo ascolto – e come persona, raccontando i cambiamenti di questo anno, di questa epoca e di questa generazione di quasi-trentenni che tanto ci fa tribolare di insicurezze.
Una onesta confessione che si stende su basi altrettanto emozionali, che non disdegnano suoni presi in prestito dal rock degli anni 00 (soprattutto nelle ritmiche) e chitarre vive e ricche di riverberi lunghi, con l’aiuto della crew Klen Sheet che si alterna alla produzione. Un album che è un’autoanalisi sincera ed onesta, che probabilmente continuerà con un futuro Lato B, una nuova consapevolezza, un’altra chiacchierata allo specchio.
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